The Lincoln Lawyer: recensione del film con Matthew McConaughey
L'avvocato penalista Mickey Haller accetta il caso di un ricco immobiliarista di Beverly Hills accusato di violenza nei confronti di una prostituta. Il ragazzo è innocente o colpevole? La Giustizia può scendere a compromessi?
Nel 2011 Matthew McConaughey decise di dare una importante svolta alla sua carriera, interpretando tre ruoli anomali rispetto alla sua precedente filmografia. Con il sicario di Killer Joe, l’avvocato di The Lincoln Lawyer e il procuratore di Bernie, l’attore texano abbandona infatti per sempre il ruolo del “bello e impossibile” con addominali di ferro e sorriso smagliante per il quale era arrivato ad un discreto – ma superficiale – successo. Un percorso vincente, che lo porterà nel 2014 all’Oscar per Dallas Buyers Club.
Nel rifarsi – cinematograficamente parlando – i connotati, McConaughey inizia a scegliere soprattutto copioni in cui finalmente può mettere in mostra le sue doti recitative, possibilmente attraverso personaggi ambigui e ambivalenti, carismatici ma moralmente poco limpidi. Tratto dall’omonimo romanzo di Michael Connelly (ribattezzato in italiano Avvocato di difesa), The Lincoln Lawyer rappresenta un palcoscenico perfetto, un one man show che ruota dal primo all’ultimo fotogramma attorno al protagonista Mickey Haller e alle sue più o meno eroiche gesta.
The Lincoln Lawyer: l’avvocato del diavolo
Guardando un po’ al sottogenere noir harboiled e un po’ a Raymond Chandler, il film di Brad Furman ci porta direttamente all’interno dell’auto di Haller, una vecchia Ford Lincoln che funge da vero e proprio ufficio. Da lì impariamo a conoscere la sua clientela e il suo modus operandi: spacciatori, prostitute e delinquenti di vario tipo sono difesi dal legale con capacità di persuasione simili a quelle di un boss malavitoso, grande sfoggio di sarcasmo ed enorme faccia tosta. Un avvocato che crede nella sua personale forma di giustizia, termine che spesso con lui fa rima con (facile) guadagno. Una tattica da sempre vincente, che lo ha reso negli anni quasi intoccabile.
Considerata la matrice letteraria di partenza, e il fatto che a tale personaggio sono stati dedicati ben cinque romanzi, il tentativo è quello di creare un carattere iconico e potenzialmente replicabile, da tenere in considerazione per un franchise più ampio. Questo porta ad una certa monotonia dell’intreccio, oltre alla necessità di rendere meno interessanti e approfonditi i diversi comprimari: l’ex moglie Marisa Tomei (una delle poche attrici americane a cui è permesso di recitare liberamente la sua età, grazie alla sua intelligenza e alla sua sensualità), il poliziotto Bryan Cranston e l’investigatore privato William H. Macy restano così ancorati ad una visione purtroppo bidimensionale, utile solo al tratteggio approfondito dello stropicciato interprete principale.
“Non c’è niente di più pericoloso di un cliente innocente”
Quando però nella vita di Heller entra un giovane rampollo accusato di violenze su una escort, tutto prende una diversa piega. È qui che The Lincoln Lawyer gioca le sue carte migliori, rendendo in modo piuttosto efficace il dilemma morale ed etico che attanaglia l’essere umano di fronte ai concetti di innocenza e colpevolezza, di etica professionale e immoralità. Il nuovo ricco cliente di Mr. Heller potrebbe essere davvero pulito, ma il potente contrasto tra privilegi assegnati quasi in automatico all’alta borghesia ed eterna malafede nei confronti dei reietti della società spariglia le carte complicando la situazione.
Peccato che lo spunto qua e là si perda, smarrendo la propria forza anche a causa di una resa estetica e di alcuni dialoghi più consoni ad una fiction televisiva alla Law & Order che ad un’opera cinematografica che si vorrebbe sempre credibile e sempre tesa. Che il polso della situazione non sia sempre saldo lo dimostra anche la frenetica parte finale, che alterna procedural e film d’azione affastellando nell’ultima mezz’ora troppi colpi di scena e sottofinali, indebolendo la resa generale della pellicola. Ed è proprio considerando queste piccole/grandi debolezze che acquista ancora più valore la prova attoriale di McConaughey, che supera a pieni voti l’esame della sua maturità artistica.