Curon: chi sono i registi della serie TV, Fabio Mollo e Lyda Patitucci
Chi c’è dietro la macchina da presa della nuova miniserie made in Italy targata Netflix? Scopriamolo insieme.
Per mesi intorno e su Curon, la miniserie supernatural drama made in Italy targata Netflix, si è saputo pochissimo e niente, poiché protetta come da prassi da un impenetrabile top secret che ha impedito di fare trapelare all’esterno qualsiasi tipo di dettaglio. Come per il cast e per la trama, anche riguardo chi avrebbe firmato la regia si è brancolato nel buio sino a quando sono stati finalmente resi noti nomi e cognomi. Si tratta di Fabio Mollo e Lyda Patitucci, che hanno rispettivamente diretto i primi quattro episodi e i restanti tre.
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Ovviamente, quando si tratta di un lavoro a più mani, l’individuazione di una linea comune è fondamentale per ottenere un’uniformità di stile, confezione e direzione degli attori. Questa è una condicio sine qua non per omogenizzare e compattare la messa in quadro. Il contrario determinerebbe una spaccatura interna e una discontinuità sul piano estetico-formale, oltre che recitativo. Pensate a quei progetti nei quali vengono chiamati a raccolta più cineasti, dallo stile, dall’approccio e dalla visione diversi. Farli coesistere è importantissimo. In quel caso il ruolo dello showrunner è determinante, poiché chiamato a gettare le basi e la cifra stilistica da seguire nel corso degli episodi.
Nel caso di Curon, la regia è stata affidata a due soli registi, quindi il concordare un fil-rouge non è stato complicato. La scelta della produzione in tal senso è stata quasi telefonata viste le caratteristiche dei due prescelti. Da una parte troviamo Mollo, un cineasta strutturato ed esperto, con alle spalle una gavetta da assistente, due lungometraggi di finzione, oltre a diversi corti e documentari. Dall’altra la Patitucci, un’esordiente specializzata nelle scene d’azione di grandissimo talento. Sulla carta si tratta di identikit agli antipodi che a conti fatti si sono amalgamati senza problemi, rispecchiando in pieno le due anime del progetto. Scopriamo quali.
Lyda Patitucci: l’azione è il suo pane quotidiano
Per galanteria diamo la precedenza a Lyda Patitucci, alla quale sono stati affidati gli ultimi tre dei sette episodi che vanno a comporre la serie. Per lei, ferrarese trentasettenne amante e cultrice del cinema di genere e d’azione orientale, formatasi al DAMS e poi all’estero all’ESCAC (la scuola superiore di cinema di Barcellona), Curon ha segnato il battesimo di fuoco nella regia. Di ritorno in Italia, dove avrebbe voluto girare l’adattamento del romanzo Mila di Matteo Strukul, che resta ad oggi un progetto in stand-by, entra in contatto con Matteo Rovere, con il quale inizia un vero e proprio sodalizio. Un incontro che si rivela fondamentale nel suo percorso di crescita, con il regista capitolino che la vuole al suo fianco come second unit director di alcuni film da lui diretti e prodotti. Dietro le gare automobilistiche di Veloce come il vento, l’assalto al treno in Smetto quando voglio – Masterclass, le evoluzioni sul rettangolo di gioco de Il campione e i combattimenti nel fango de Il primo Re, c’è infatti la sua mano. Esperienze, queste, che per Lyda rappresentano una palestra dove farsi le ossa e mettere in mostra le conoscenze nel campo dell’action.
Curon è dunque il suo esordio alla regia pura, che gli consente di poter combinare la sua esperienza nella dinamica con la coreografia più bella, che è quella della recitazione. Non a caso si è occupata dei capitoli finali della prima stagione, quelli in cui le parole vanno di pari passo con i fatti. Il quinto episodio, infatti, rappresenta un giro di boa nella serie, con l’azione che si sposta in esterno tra i fitti boschi innevati dell’Alto Adige. Lì si assiste a un cambio di passo e di modus operandi, suggellato dal passaggio di consegne da Fabio Mollo a lei, che coincide a sua volta con una mutazione drammaturgica della storia narrata. La prima parte diretta dal collega, infatti, è più focalizzata sui personaggi, sui legami e sulle dinamiche che intercorrono tra di loro, mentre nella seconda la componente sovrannaturale prende definitivamente il sopravvento, spingendo il pedale sull’acceleratore dell’azione e della fisicità. Ed è esattamente in quel momento che la Patitucci raccoglie il testimone.
Fabio Mollo: l’uomo prima di tutto
“Desideravo da tempo poter raccontare una storia che fosse di genere, ma allo stesso tempo anche un racconto intimo e personale”. I primi quattro episodi di Curon gli hanno permesso di farlo. A parlare è Fabio Mollo, cineasta reggino classe 1980, che dopo gli studi in quel in Inghilterra alla University of East London si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. La sua carriera inizia come assistente alla regia per diversi film, per poi passare dietro la macchina da presa di pluripremiati cortometraggi tra cui Al buio e Giganti. L’esordio sulla lunga distanza arriva nel 2013 con Il Sud è niente, presentato al 64° Festival di Berlino e all’8° Festival Internazionale del Film di Roma, laddove si aggiudica il premio Taodue “Camera d’Oro”. Prima e dopo l’opera seconda dal titolo Il padre d’Italia con la coppia Marinelli-Ragonese, anch’esso insignito di numerosi riconoscimenti nel circuito festivaliero nazionale e internazionale, si cimenta con il cinema del reale (Vincenzo Da Crosia), film tv (Liberi sognatori – Una donna contro tutti sulla storia di Renata Fonte) e progetti seriali come la terza stagione di Tutto può succedere.
Il risultato è una filmografia variegata che gli ha consentito negli anni di toccare corde diverse, ma accomunate dal desiderio epidermico di mettere al centro l’uomo e tematiche universali come i sentimenti e i legami affettivi. Con Curon ha avuto l’opportunità di porre nuovamente l’accento su questi aspetti, calati però in un genere da lui mai esplorato in precedenza, quello del supernatural drama. Lo fa attraverso il viaggio fisico ed emozionale che i protagonisti della miniserie Netflix compiono in una terra un tempo amica e ora ostile, che vede il passato volersi sostituire al presente mediante uno tsunami di paura, violenza e amore. Ingredienti che gli autori hanno mescolato e consegnato al regista calabrese tra le pagine dello script. Prese in consegna, Mollo ha poi trasferito il tutto in ritratti di famiglia disfunzionali, incorniciati con attenzione e un certo gusto per la costruzione dell’immagine.