Biografilm 2020 – The House of Love: recensione del film di Luca Ferri

Il film restituisce la protagonista all'interno del suo appartamento nella sua dolcezza ed unicità, senza redenzione o sensi di colpa.

Bianca è una transessuale di 39 anni. Vive a Milano dal 2009 e di professione fa la prostituta. Questo è il punto di partenza di The House of Love, il film di Luca Ferri in programma al Biografilm 2020.

The House of Love: Bianca, una protagonista speciale

“La chiamavano Bocca di rosa / metteva l’amore, metteva l’amore/ la chiamavano bocca di rosa / metteva l’amore sopra ogni cosa” così cantava De André e così canta per immagini Luca Ferri, con la sua Bianca.  Bianca si prepara davanti allo specchio, indossa i suoi vestiti più belli ed è pronta per “mettere l’amore sopra ogni cosa” nella sua casa dell’amore appunto. Il film di Luca Ferri è la terza parte di una trilogia “domestica”, tre opere girate integralmente dentro ambienti domestici in formati e modalità narrative diverse.

Nel 2018 realizza Dulcinea, opera di pura finzione, girata in 16 mm, a colori, ambientata a Milano in cui si narra il rapporto tra due solitudini, poi arriva Pierino, documentario girato in VHS, a colori, incentrato su un anziano signore appassionato di cinema all’interno di una rigida struttura cinematografica. Ora arriva The House of Love, girato in digitale, il cui centro è Bianca, transessuale italiana che vive a Quarto Oggiaro, nell’hinterland milanese. Lo spettatore entra nella sua casa dove uno alla volta arrivano i suoi clienti che lei tratta con la dolcezza e la purezza del suo nome. Bianca è sola per il resto del tempo, nonostante abbia una compagna che vive lontano da lei – una trans di origini giapponesi che vive temporaneamente in Brasile -, in un’oscurità dettata dalle persiane semi abbassate – metafora dell’oscurità in cui si trovano le trans in Italia -, illuminata solo da candele. Bianca non vive nel lusso, vive una solitudine delicata e leggera, è un personaggio lunare, candido, talmente tenero da conquistare lo spettatore con poche parole, con pochi silenzi, in pochi dialoghi con i clienti, le amiche, la sua compagna. Bianca riporta alla memoria molte delle figure cinematografiche, letterarie dei o delle trans, figure complesse, affascinanti perché rappresentano tutto, il cerchio che si chiude, l’uomo e la donna, un mito dell’androgino in corpore.

Quella casa è per lei il centro della vita e, appare chiaro fin da subito, l’importante non è tanto ciò che vi è dentro, in quell’eterna ora del crepuscolo, a causa del semi buio che vi è dentro – non c’è corrente -, ma quei corpi che si intrecciano, quei vuoti che si riempiono. Bianca si prepara all’incontro seguendo dei riti, dei lunghi riti che la rendono ciò che è: la rasatura delle sopracciglia, il trucco, la scelta dell’intimo, della minigonna; tutto senza fretta, ogni cosa ha un suo posto all’interno della costruzione della sé che poi gli uomini si troveranno davanti.

The House of Love: una documentario che si svolge nei 20 metri quadrati del suo soggiorno

The House of Love - Cinematographe.it

La vita di Bianca è tutta lì, tra lo specchio dove si guarda per vedere se è pronta e il mobiletto per scegliere le scarpe, si svolge nei 20 metri quadrati del suo soggiorno, lì la protagonista vive, esiste, è lì che ha le sue coordinate, un luogo in cui sono stati raccolti tanti oggetti che riguardano il padre scultore, Cesare Riva, e in cui vengono custoditi ricordi che rimandano in modo evidente alla sua identità ed al suo percorso. Per uscire da quel piccolo mondo a Bianca serve il telefono, uno dei pochi contatti con il “fuori”, sia per parlare di lavoro, sia per raggiungere gli amici, sia per gestire la relazione con Natasha.
Il documentario ci conduce nella sua vita fatta di abitudini, incontri, di giornate sempre uguali le une alle altre, è un racconto di solitudine e di amore, di tristezze e gioie, di un lavoro che fonda e completa Bianca.

Nella storia non mancano momenti struggenti e poetici come ad esempio quando la trans incontra un signore anziano che canta La povera Rosetta, la canzone popolare milanese dedicata a una prostituta uccisa dalle forze dell’ordine ai primi del Novecento (“un angelo di Rosetta, era di piazza Vetra”), canzone in cui vengono sintetizzate tutte le lacrime per chi viene poco considerato.
Dietro a The House of Love c’è un lavoro di un anno, un percorso complesso in cui Bianca avrebbe dovuto aprire la sua casa, il suo mondo, sé stessa al regista e così ha fatto; alla base di tutto doveva esserci fiducia e stima, altrimenti sarebbe stato impossibile narrare. Il risultato è intenso, pieno grazie anche alla spontaneità e alla naturalezza della protagonista, una narratrice perfetta della sua storia e di un tema delicato.
Proprio per il tema che tratta Ferri utilizza uno stile semplice, composto, non vi sono molti movimenti di macchina entrando in punta di piedi in un’esistenza che è forte già di per sé e che si muove da sola senza bisogno di orpelli. Il film restituisce la protagonista all’interno del suo appartamento nella sua dolcezza ed unicità, senza redenzione o sensi di colpa.

The House of Love: un racconto toccante

The House of Love - Cinematographe.it

The House of Love è un documentario toccante che grazie allo sguardo di Ferri non giudica Bianca, anzi ci porta in una realtà poco raccontata, o mal raccontata, con uno sguardo puro e vergine. Bianca è la perfetta narratrice di questa storia, lei è lacrima e sorriso, spirito e sesso, solitudine e comunanza. Alla fine del documentario lo spettatore si sente di aver conosciuto Bianca, piena di grazia, per davvero, con le sue gioie, le sue malinconie, le sue mancanze.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.5