Atleta A: recensione del documentario Netflix
Lo scandalo degli abusi sessuali nel mondo della ginnastica a stelle e strisce nel documentario d’inchiesta firmata da Bonni Cohen e Jon Shenk per Netflix. Disponibile sulla piattaforma dal 24 giugno.
Ci sono ferite che fanno molta fatica a cicatrizzarsi, tanto forti sono le violenze e il male che le hanno provocate. Per chi li ha subiti, l’abuso psicologico e fisico, le molestie sessuali, restano impressi nella mente e sul corpo come segni indelebili. Non c’è nulla, nemmeno una condanna al carnefice di turno, capace di restituirti ciò che ti è stato tolto e fatto, perché niente è in grado di alleviare o cacciare il dolore e la sofferenza provocati da quelle azioni malate e criminali. Infatti, il più delle volte si sente parlare di sopravvissuti più che di vittime. Ed è a loro che documentari come Atleta A provano a dare voce e un volto per fare in modo che certi orrori e gesti ignobili non finiscano nel dimenticatoio, arrivando alle orecchie e agli occhi dell’opinione pubblica con tutto il potere devastante di una denuncia.
Atleta A: abusi sessuali e molestie al centro di un documentario d’inchiesta che scoperchia un vaso di Pandora
Così, dopo la docuserie in quattro episodi Jeffrey Epstein: soldi, potere e perversione, nella quale Lisa Bryant porta sullo schermo la torbida storia di un miliardario americano accusato di pedofilia e di aver gestito una rete di traffico di minori con la complicità di una rete vastissima di clienti facoltosi, un altro documentario targato Netflix è approdato sulla piattaforma (dal 24 giugno 2020) per sconvolgere il suo pubblico.
Il film di Bonni Cohen e Jon Shenk, come tutte le inchieste che si rispettino e che portano a casa dei risultati concreti, è un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco del fruitore. Quest’ultimo si trova al cospetto di uno dei più grandi scandali della storia dello sport a stelle e strisce e non solo, capace di sconvolgere profondamente una nazione intera e gli amanti di una disciplina diventata sempre più popolare grazie alle medaglie conquistate nei decenni dalle ginnaste olimpiche americane. Uno scandalo scoppiato quando la cosiddetta “Atleta A”, ossia la prima ginnasta del team nazionale Maggie Nichols, decise di denunciare nel 2015 le molestie subite. Denuncia alla quale è seguita l’inchiesta condotta dal team di giornalisti dell’IndyStar Steve Berta, Marisa Kwiatkowski, Mark Alesia e Tim Evans. Una goccia, quella, che ha fatto traboccare e al contempo scoperchiare il classico vaso di Pandora, scatenando una vera e propria reazione a catena.
Atleta A si concentra sulle vittime prima ancora che sui carnefici
Da questa clamorosa inchiesta, che per portata ricorda Il caso Spotlight, s’innesca un processo mediatico e giudiziario che ha portato all’arresto dei vertici di un vero e proprio sistema, che ha tentato in tutti i modi di insabbiare tutto. A muoverne i fili Larry Nassar, il medico della Nazionale statunitense di ginnastica condannato per abusi sessuali su centinaia di vittime (gran parte minorenni), e Steve Penny, CEO di USA Gymnastic. Atleta A è la cronaca di quanto accaduto fuori e dentro le aule di tribunale, le palestre e le redazioni che hanno seguito il caso. Un caso del quale si era già occupato non meno di un anno fa Erin Lee Carr per HBO in At the Heart of Gold: Inside the USA Gymnastics Scandal, ma focalizzando l’attenzione sulla figura di Nassar. La differenza sta dunque nel focus e nel punto di vista su e attraverso i quali si raccontano e vengono mostrati i fatti, con gli autori di Atleta A che spostano l’obiettivo della macchina da presa sulle vittime, le giovani donne molestate – atlete olimpiche, medaglie d’oro e dilettanti – e non sul molestatore seriale. Così facendo si ottiene un controcampo precedentemente venuto meno, in cui sono le testimonianze dirette di alcune sopravvissute (Maggie Nichols, Jessica Howard, Rachael Denhollander e Jamie Dantzscher), supportate da quelle di familiari, legali, giornalisti e investigatori, il motore portante della timeline.
Atleta A: confezione classica per un racconto che si muove lungo tre direttrici
Classico e tradizionale nella forma e nella confezione, il documentario fa di questa testimonianza corale la linea guida di un racconto che allarga i propri orizzonti tematici ad altri due aspetti fondamentali: da una parte un utile excursus storico sull’evoluzione del team nazionale di ginnastica a partire dagli anni Settanta, dall’altra l’analisi attenta sull’ambiente “tossico” creatosi nel corso del tempo intorno a questo sport da un sistema che ha iniziata guardare solo ai propri interessi e tornaconti, sacrificando le atlete. Nel DNA di Atleta A questi tre aspetti scorrono in parallelo fino a creare una galleria degli orrori che non può lasciare indifferenti e che riporta alla mente Mea Maxi Culpa di Alex Gibney.