Rango: il significato del film d’animazione di Gore Verbinski
Un viaggio eroico di ambientazione western, un film esilarante e intelligente che racconta con una grande metafora il lato oscuro dell'Io e della società.
Diretto da Gore Verbinski e uscito al cinema nel 2011, Rango è un’opera peculiare ma brillante che ha ben meritato l’Oscar come Miglior Film d’Animazione. Johnny Depp interpreta il piccolo camaleonte che, come un eroe fordiano, intraprenderà un eroico viaggio nel West per riportare l’equilibrio nella comunità. Tra intellettualismi e omaggi nostalgici al genere, Rango dà il meglio di sé con una grafica eccellente e una colonna sonora entusiasmante.
La trama di Rango: come nasce un eroe
Protetto dai muri di plexiglas del suo terrario, il camaleonte Rango (Johnny Depp) si diletta a mettere in scena spettacoli teatrali o trame cinematografiche nei quali lui è l’attore protagonista e i pochi “personaggi” con cui condivide l’abitacolo sono gli unici spettatori e attori di supporto: un mezzo busto di donna senza testa, un pesciolino di gomma, un insetto stecchito e una palma.
Nella sua esistenza in cattività, Rango non sa ancora nemmeno di avere un nome e vive una vera e propria crisi identitaria: “chi sono io?” si domanda. Ma quando si trova a viaggiare sul retro della macchina di famiglia, l’automobile sbanda e un forte urto scaraventa il terrario fuori dal finestrino posteriore. Quando il terrario si frantuma, ecco che Rango si ritrova da solo in mezzo a una grande strada che attraversa il deserto californiano del Mojave. Qui incontra un armadillo che gli dice di tentare di oltrepassare il deserto e di raggiungere “l’altra parte”, una destinazione metaforica, ma per farlo deve attraversare la reale città di Polvere.
Dopo l’incontro nel deserto con Borlotta, un’iguana femmina, questa lo fa salire sul suo calesse e lo conduce a Polvere. Inizia quindi il viaggio eroico di Rango che giunto a Polvere si ritrova in una classica ambientazione western, in una cittadina abitata da animali stremati dalla mancanza di acqua. Qui Rango sfodera le sue abilità attoriali per darsi un nome e si presenta come un eroico e coraggioso paladino della giustizia che ha fatto fuori sette banditi con un solo colpo di pistola.
Guadagnatosi la stima e l’ammirazione di tutti, Rango incontra il sindaco John – una vecchia tartaruga – che lo nomina sceriffo. Questi gli dice che nonostante la mancanza di acqua, il popolo per andare avanti deve “credere in qualcosa e sperare”, ma Rango si accorge fin da subito che qualcosa non va come dovrebbe: il sindaco sembra essere il solo ad avere accesso alla preziosa acqua, che invece scarseggia persino in banca – a Polvere, infatti, i liquidi all’interno della banca sono letteralmente “liquidi” e l’acqua è una sorta di moneta di scambio, il bene più pregiato di Polvere.
Dopo un misterioso furto alla banca dell’ultima riserva di acqua disponibile, gli abitanti di Polvere sono disperati e ripongono le loro speranze nel nuovo sceriffo. Così Rango si avventura in questa eroica impresa per riportare l’acqua in città (e avrà a che fare anche con nemici temibili, come il gigantesco serpente a sonagli Jake): scoprirà che tutte le riserve d’acqua sono state dirottate dagli uomini verso la città oltre il deserto e che solo il sindaco John ne era a conoscenza. Riportata l’acqua a Polvere, Rango può finalmente esultare: ha risolto il problema della comunità ma ha anche ritrovato se stesso e il suo posto nel mondo.
Il significato di Rango e la spiegazione del finale: tra metafore sociali e omaggi cinematografici
La trama di Rango è piuttosto lineare e semplice, è quella in cui un eroe o qualcuno che ambisce a dimostrare di esserlo intraprende un viaggio e, dopo un conflitto, ne esce vittorioso. Il viaggio di Rango però non è solo quello reale che il piccolo camaleonte compie attraversando il deserto di Mojave, ma è anche un viaggio della coscienza. La metafora a cui allude l’armadillo, il raggiungere “l’altra parte” altro non è che la piena consapevolezza dell’Io, spesso in conflitto interiore e incapace di compredere la sua stessa essenza. La crisi d’identità di Rango, che da buon camaleonte sa mimetizzarsi a tal punto da essere un eccellente attore, è il vero conflitto con cui l’eroe ha a che fare e l’acqua altro non è che metafora della purezza, della verità a cui Rango anela ad arrivare.
Durante il suo peregrinare nell’arido deserto alla ricerca delle riserve di acqua, Rango incontra lo Spirito del West sottoforma di un improbabile Clint Eastwood – uno dei tanti omaggi al cinema western che Gore Verbinski dissemina nel film. Lo Spirito del West suggerisce a Rango che nessuno può andare fuori dalla cornice della propria storia: Rango capisce che deve portare avanti il ruolo di sceriffo e che è questo quello che deve essere, l’eroe che porterà fine alle sofferenze della comunità di Polvere. Qui c’è tutto l’individualismo fordiano di Ombre Rosse e Sentieri Selvaggi, dove un uomo solo è l’unico a poter ristabilire l’ordine comunitario e c’è anche una critica verso la società consumistica che cerca il controllo sul più debole privandolo dei mezzi necessari a sostentarsi.
Il sindaco John incarna la corruzione politica, egli è a conoscenza di dove siano le riserve d’acqua ma le tiene avidamente per sé per avere il pieno controllo sulla società: il rubinetto – in questo caso letteralmente – viene aperto così solo su suo comando, concentrando il potere politico su Polvere nelle sue sole mani. Quando Rango scopre però che anche gli esseri umani hanno avuto il loro peso nella siccità di Polvere – infatti l’acqua del sottosuolo è stata dirottata verso una nuove nascente città – ecco che tra le righe si legge anche un attacco all’eccessivo sfruttamento umano della natura che è sempre quella a soccombere sotto l’avidità dell’uomo. Nel finale Rango smaschera le intenzioni perverse e ciniche del sindaco John e fa in modo che i condotti dell’acqua possano scorrere di nuovo anche nella città di Polvere.
Gore Verbinski, che per Rango ha anche vinto l’Oscar come Miglior Film d’Animazione, dirige un’opera che non è propriamente un film per bambini, ma un omaggio all’età d’oro del Western e un film venato di un certo intellettualismo – in uno dei flash nella mente di Rango il pesciolino di gomma e il mezzo busto di donna del suo terrario vengono rappresentati come in un’opera di Salvador Dalì, alludendo a quella parte interiore dell’Io più profonda che è l’inconscio e il sogno custodito all’interno di sé. Il viaggio si compie come doveva, Rango trova il suo posto nella società e il compito a cui è destinato per contribuire alla stessa, l’equilibrio è ristabilito e il male è smascherato – ma questo è ciò che solo un finale patinato e da mito hollywoodiano può mettere in scena, nella realtà il viaggio degli eroi è sempre più arduo.