Gretel e Hansel, recensione dell’horror con Sophia Lillis
Gretel e Hansel, una nuova rivisitazione della favola dei fratelli Grimm, in versione molto horror e femminista
Gretel e Hansel, basta il titolo per capire che questa nuova versione della classica fiaba dei fratelli Grimm è stata adattata ai tempi che corrono. Ribaltata, per la precisione, con Hansel fratellino minore e Gretel sorella maggiore, e l’azione concentrata sul rapporto tra la giovane e sbocciante fanciulla e la strega che ha accolto i due.
La storia la conosciamo, ce la raccontavano la sera per farci passare delle belle notti piene di incubi terribili. Gretel e Hansel sono figli di famiglia poverissima, il padre prima cerca di vendere la figlia a un ricco possidente, facendola prendere a servizio completo. Quando la ragazza si rifiuta, viene cacciata di casa, con la minaccia da parte della madre di fare a pezzi il fratellino se non se ne vanno.
Detto fatto, Gretel e Hansel vagano tra i boschi, e tra un funghetto allucinogeno e un cacciatore che li aiuta, eccoli imbattersi nella casetta nel bosco. Non è di marzapane, ma la tavola è imbandita di cento leccornie. La padrona di casa, una amorevole vecchina, li accoglie e li rimpinza. Anche troppo. Chissà perché…
Le fiabe sono trattati di psicanalisi
Del naso di Pinocchio e del suo rapporto con la Fata Turchina potremmo parlare all’infinito. Così come dell’opera omnia dei due geniali fratelli tedeschi. I risvolti sono tanti e Oz Perkins, regista che dell’horror ha fatto la sua fede, ne ha colti molti e interessanti. L’inversione dei ruoli, oltre a essere molto al passo con i tempi, permette di analizzare il racconto da un punto di vista interessante, inserendo un confronto generazionale, un rapporto madre-figlia tra la strega e la ragazza, appena diventata donna, fisiologicamente parlando, a sua volta madre surrogata del fratellino.
Perkins immerge la situazione in atmosfere molto cupe, con una fotografia livida e patinata e una messa in scena rigorosa e geometrica. Regista raffinato in questo senso, proveniente da una famiglia che di eleganza applicata all’inquietudine se ne intende, essendo figlio di Anthony Perkins, nipote di Marisa Berenson e bisnipote della geniale stilista Elsa Schiaparelli.
Il sangue non è acqua, insomma, e si vede. Perkins lavora molto sui tempi, dilatandoli, gioca con luci, colori, fluidi, superfici e corpi, facendo ruotare questo turbinio di materia attorno alle due protagoniste, entrambe bravissime.
Ma se Alice Krige nei panni della strega cattiva è magnifica come sempre, la vera sorpresa è Sophia Lillis. Già assai apprezzata nel dittico cinematografico di It, e poi nella serie Netflix I’m Not Okay With This. La ragazza riempie lo schermo, tiene la scena e porge la battuta alla navigata collega con grande carisma. Se non si monta la testa, come altre sue giovani colleghe di piattaforma ben meno dotate di talento, è destinata a una grande carriera. Menzione anche per Jessica De Gouw, nei panni della strega con giovanili e sensuali fattezze. Vista qualche anno fa in un apocalittico australiano passato a Cannes nel 2015, These Final Hours, film che avrebbe meritato maggiore visibilità dalle nostre parti, è diventata popolare grazie al ruolo di Helena Bertinelli/La Cacciatrice in Arrow. Meriterebbe qualche bel ruolo anche al cinema.
Gretel e Hansel è un horror di sensazioni e materia
Soffre un po’ la ieratica narrazione, per quanto funzionale allo sviluppo del rapporto tra le due protagoniste. Risolto il confronto, la sceneggiatura di Rob Hayes vira sin troppo drasticamente a una soluzione pragmaticamente femminista, purtroppo più dovuta che doverosa, tanto politicamente corretta quanto superflua da esplicitare in un film reso intrigante proprio dal fascino di ciò che si cela dietro l’apparenza.
Gretel e Hansel, in sala dal 19 agosto 2020 distribuito da Koch Media – Midnight Factory.