Intervista a Lina Sastri: “La vita è molto più complicata dell’Arte”
Abbiamo incontrato l’attrice e cantante partenopea in occasione dell’undicesima edizione del Bif&st, laddove ha ricevuto il Federico Fellini Platinum Award for Artistic Excellence. Una one-to one per parlare a 360° della sua straordinaria carriera vissuta tra cinema e tantissimo teatro.
Tornata a distanza di un anno al Bif&st, laddove sul palcoscenico del Teatro Petruzzelli fu protagonista di un concerto omaggio al compositore premio Oscar, il compianto Ennio Morricone, Lina Sastri ha ricevuto dalle mani della Presidente Margarethe Von Trotta e del direttore Felice Laudadio il Federico Fellini Platinum Award for Artistic Excellence, entrando di diritto nel prestigioso palmares della kermesse pugliese. Con ancora vivi il ricordo di quella esibizione e l’emozione per il riconoscimento attribuitole nella serata del 24 agosto nella cornice dell’arena a cielo aperto di Piazza Prefettura, l’abbiamo incontrata per un’intervista one-to-one focalizzata sull’importanza del teatro nella sua carriera e sulle fortunate incursioni nella Settima Arte.
Lina Sastri: dal Bif&st 2020 la nostra intervista all’attrice e cantante partenopea, premiata con il Federico Fellini Platinum Award for Artistic Excellence
Negli anni è stata l’Arte ad averle indicato il percorso di vita o viceversa?
“L’autore, colui che crea, indipendentemente che scriva un romanzo o dipinga un quadro, ha sempre un nodo fondamentale nella sua vita che attraverso l’Arte dipana, cerca di sciogliere, dandogli razionalità. É come una sorta di seduta psico-analitica a cui si sottopone. La vita è molto più complicata dell’Arte ed è molto difficile da capirla”.
Cosa manca all’appello e che non siamo ancora riusciti a vedere di Lina Sastri?
“C’è una parte di me inedita che non si è ancora mai vista, ossia quella comica. Del resto ho sempre interpretato e mi hanno nella stragrande maggioranza dei casi affidato dei ruoli drammatici, di conseguenza mi piacerebbe vestire panni di personaggi appartenenti alla commedia. La leggerezza non mi è mai appartenuta, ma nel privato in generale ho una grande energia e verve, oltre che una spiccata ironia che mi piacerebbe esprimere artisticamente”.
Lina Sastri: “Niente finisce e niente inizia, tutto è mescolato, ma con studio e metodo”
La spaventa di più allontanarsi dalla tradizione o tentare la via della sperimentazione?
“Quando ho iniziato a fare l’attrice tantissimi anni fa ho seguito la strada della sperimentazione, ma quando era veramente sperimentazione. All’epoca io come altri colleghi facevamo il teatro di strada, con lo spirito di Masaniello a guidarci, senza una lira in tasca e cantando senza microfono nelle piazze. Era la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, quando si pensava che l’Arte sarebbe diventata la fantasia al Potere. Potere che a sua volta ha capito subito che tutto questo poteva rappresentare un pericolo e lo ha annullato. Motivo per cui oggi i giovani non hanno quasi più la possibilità di rischiare, perché il rischio non è previsto. Un vero paradosso, dato che il rischio per natura appartiene alla giovinezza.
Per quanto mi riguarda agli esordi non ho mai pensato alla tradizione, tant’è che nemmeno recitavo in napoletano. Poi ho conquistato la mia terra, la mia identità un passo alla volta e con il trascorrere del tempo. Mi sono così riappropriata di quella che è la mia Patria e la mia lingua, diventando il pasto, il cibo, il nutrimento, della mia creatività. Ciononostante non mi considero una tradizionalista, perché io mescolo continuamente i generi. Nei miei spettacoli, ad esempio, unisco elementi inediti con altri della tradizione, alterno rime, le interrompo con la musica. Niente finisce e niente inizia, tutto è mescolato, ma con studio e metodo”.
C’è uno spettacolo, un film o un personaggio al quale è particolarmente legata, che non è stato capito fino in fondo, andando al di sotto delle sue aspettative?
“Moltissimi, è sufficiente pensare ai miei spettacoli di teatro-musica da Roma in su non li hanno nemmeno visti e la cosa mi sorprende molto dato che hanno oltrepassato l’oceano, arrivando persino in Giappone e a Buenos Aires. Questo per dire che non hanno avuto la circuitazione che avrebbero meritato all’interno dei confini nazionali e che invece hanno avuto all’estero. Ciononostante credo che non bisogna avere quella vanità dell’attore di volere arrivare a tutti. Il fatto che non ci riesci o che non sei piaciuto a tutti, non è detto che non sia stato capito. Se una cosa non è compresa fino in fondo è sempre colpa dell’artista”.
“Il cinema mi ha dato molto di più di quello che io ho dato a lui”
Ha più volte dichiarato di essere prima di tutto un’attrice di teatro, qual è allora il ruolo del cinema nella sua carriera?
“Il cinema mi ha premiato, mi ha dato molto di più di quello che ho dato a lui. Questo perché gira e rigira dentro sono rimasta sempre un’attrice di teatro. Ma tutte le volte che mi trovo ad attraversare il mondo affatato della Settima Arte, mi sento sempre una ospite, come una specie di Cenerentola catapultata improvvisamente nel palazzo del Principe e che allo scoccare della mezzanotte perde la famosa scarpetta. Mi sento tutte le volte di entrare in una dimensione che non conosco e che di tanto in tanto decide di accogliermi. E ringrazio tutti coloro che negli anni mi hanno dato la possibilità di attraversare questa scia di luce che è il cinema, perché come diceva Fellini: il cinema è luce”.
A che punto è il suo esordio cinematografico dietro la macchina da presa?
“La casa di Ninetta è il mio progetto cinematografico tratto dalla raccolta di scritti e pensieri dedicata alla memoria di mia madre Anna, detta appunto Ninetta, morta di alzheimer, da cui trassi un monologo che ho fatto in teatro e diventato di recente una sceneggiatura. Siamo ancora in attesa di qualche risposta e per scaramanzia non ne parlo, ma spero di poterla realizzare al più presto. Sarebbe un sogno che si avvera”.