Venezia 77 – Greta: recensione del documentario di Nathan Grossman

Il documentario di Nathan Grossman presentato fuori concorso a Venezia 77 ci porta con discrezione e inevitabile retorica nella vita della giovane attivista svedese Greta Thunberg.

Il documentario di Nathan Grossman ci porta con discrezione e inevitabile retorica nella vita della giovane attivista svedese. 

Greta, unposted. È possibile parlare di uno dei personaggi pubblici più sorprendenti degli ultimi anni senza ripetere quanto già detto, postato e condiviso? Le complicazioni a cui il nuovo lavoro di Nathan Grossman va incontro sono affini a documentari solo in apparenza lontani. Primo tra tutti il tanto discusso film su Chiara Ferragni. Perché in un mondo di influencer non esistono dietro le quinte. Soprattutto se l’obiettivo del regista è un elogio che puntualizza il pensiero (quasi) condiviso. Per questo l’unposted che sottotitolava Chiara Ferragni era una rivelazione e non un imbroglio. Non c’è nulla di unposted. E lo stesso vale per Greta, il cui documentario risulta già visto e sentito. A dominare sono i discorsi, gli scioperi, gli sguardi con cui abbiamo imparato a familiarizzare. Persino la sindrome di Asperger, di cui Greta è affetta, non risulterà nuova agli spettatori. Ma anche le cattiverie, gli insulti e le ingiustizie che la giovane attivista ha dovuto affrontare, torneranno da copione. Il problema non è di Grossman, che ha saputo invece individuare in Greta un racconto molto prima che fosse tale. La questione, casomai, riguarda la difficoltà di farsi raccontare personaggi con cui interagiamo quotidianamente.

Io sono Greta: come nasce un’eroina moderna

L’esegesi di Greta è lineare. Si va dal primo sciopero di fronte al parlamento svedese al Summit delle Nazioni Unite. Il percorso segue un crescendo emotivo sempre opportuno e ovviamente retorico. “Sei la mia eroina”, le urlano alle manifestazioni. “Modello”; “simbolo” sono parole ricorrenti di questa storia delle origini. Come ogni eroe, sembra correre ai ripari il documentario, anche Greta Thumberg non è perfetta. Riluttante, indecisa, la osserviamo interrogarsi spesso sul valore delle proprie azioni. Ancora più interessante è poterla guardare mentre pensa di “averli già stancati tutti”. Ci tiene alla figura che rappresenta e ha paura che finisca. Ma davanti alle telecamere prega, con intelligenza, di non “fissarsi”. “Non siete qui per me”, ricorda alle folle che intonano il suo nome. “Siete qui per voi”.

Greta

Più volte Greta sosterrà di sentirsi “in un film surreale”. E a guardare le date del movimento globale da lei ispirato c’è di che rimanere stupiti. Solo nel 2019 sono scesi in piazza sette milioni di manifestanti. Il numero più grande mai registrato in relazione alle battaglie contro il cambiamento climatico. Il primo personaggio noto che vediamo contattare Greta è Arnold Schwarzenegger, attore ed ex governatore della California. A rendere l’attivista diversa è il disinteresse con cui guarda ai grandi personaggi famosi. Incontrerà persino Macron e Juncker. Il primo sarà lei a congedarlo (“avrà di certo da fare”), il secondo la deluderà in uno dei momenti più forti del film. A importare a Greta è la causa. E a quest’idea il documentario di Grossman si affeziona. Perché gioca sulle nuove generazioni. Non a caso è Billie Eilish ad accompagnare il volto della Thunberg, seguito dalle numerose nuove attiviste diffuse nel mondo. La battaglia in sé, invece, non è discussa. Sembrano lontani gli anni dei grandi documentari di Al Gore. Ora “non c’è più tempo” e il clima è una questione chiara. Va “solo” imposta.

Padre e figlia insieme per il mondo

Personaggio inatteso è invece il padre. Con Greta attraversa l’Europa e l’Oceano. Quest’ultimo mostrato in un’attraversata infernale a bordo della barca a vela da regata con cui arrivarono a New York. Quella che molte fake news chiamarono “crociera di lusso”. Per il padre, le parole che Greta ignora hanno un peso diverso. Quello di un genitore. Li osserviamo leggere i commenti Facebook con due espressioni opposte. Lei riesce a ridere, mentre lui inizia a prendere lezioni di sicurezza per fronteggiare ogni scenario.

Il film finisce a New York, nel 2019. “Cosa sarà” dei Fridayforfutures è la domanda che Grossmann affida allo spettatore. Un richiamo all’azione che si rinnova, e potenzia, a fronte di un 2020 che ha inevitabilmente frenato ogni manifestazione. Riportare la questione climatica al centro rappresenterà la nuova sfida della giovane attivista.

Regia - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.1