Venezia 77 – The Third War (La Troisième Guerre): recensione del film di Giovanni Aloi

La recensione di The Third War (La Troisième Guerre), il film di Giovanni Aloi presentato a Venezia 77 che ci guida nella la tragedia di un ragazzo in divisa.

Ormai da anni siamo abituati a vedere nelle nostre metropoli, di fronte alle ambasciate, in metro o in piazza, pattuglie di militari in assetto di guerra, costretti a dispetto del clima o delle intemperie a fare ciò che si vede per tutti i 90 minuti di The Third War (La troisiéme guerre): aspettare.
Sven Hassel scriveva che un soldato passa metà della sua vita ad aspettare. Ma ad aspettare che cosa? Il mondo militare è certamente molto cambiato, negli ultimi due decenni almeno, con un professionismo che ha sostituito la dimensione della leva in quasi tutti i paesi occidentali.
Ma tale evento, unito alla necessità di proteggere i bersagli sensibili dalla minaccia terroristica, ha voluto dire creare legioni di uomini iperaddestrati, iperequipaggiati, inquadrati, sempre pronti ad un’azione che poi in realtà non arriva mai.
E tutto questo ha degli effetti collaterali terribili a lungo andare, come testimoniato dall’aumentare di suicidi (ben 60 solo in Italia), di disturbi psicologici ed in generale da un’alienazione che distrugge la mente.

The Third War: la tragedia di un ragazzo in divisa

Protagonista di The Third War di Giovanni Aloi, è il giovane ed introverso Leo (un bravissimo Anthony Bajon), fuciliere del 519° reggimento, di stanza in una Parigi resa reame del grigio cementato, del fango e del freddo da una bellissima fotografia di Martin Rit.
Assieme ai commilitoni, Leon deve sottoporsi ad estenuanti pattugliamenti, nei quali regnano noia, tensione, frustrazione e il desiderio di fare qualcosa di utile o di tangibile, fosse anche solo arrestare qualcuno o evitare qualche crimine. Ma in quello la competenza è sempre della polizia.
Con la tensione che sale, in una caserma in cui regnano lassismo, bullismo e depressione, Leon, con una famiglia disastrata, senza veri amici e senza uno straccio di relazione, comincia un lento ma inesorabile precipitare in un abisso di disperazione e impotenza. La stessa che il film di Aloi fa abbracciare ad ogni singolo militare di questo film dolente, spietato, malinconico e che più che rabbia, suscita enorme pietà per chi ha avuto la disgraziata idea di abbracciare oggi come oggi il mestiere delle armi.

Gioavanni Aloi ci guida in un regno della disperazione

La regia di Aloi è assolutamente perfetta per ritmo ed estetica, nel guidarci dentro la mente di quei soldati che incrociamo senza curarci ogni giorno, provenienti spesso da realtà disagiate, disperate, costretti dentro caserme sovente fatiscenti e oscure, caricati come molle ma tenuti sempre impossibilitati a mettere in pratica ciò che hanno appreso.
Sostanzialmente è come dire ad un cavallo di non correre o a un uccello di non volare, e The Third War ha il grande merito di far comprendere tale paradosso, tale conflitto psicologico in atto 24 ore su 24 per soldati ed ufficiaili.
La terza guerra di cui si parla qual’è poi in fondo? Quella contro il terrorismo che colpisce spietato al Bataclan e poi scompare? O contro se stessi? Contro la divisa? Contro la società che li rifiuta, li vede come qualcosa di pericoloso, infido e sporco…
A tutte queste domande non vi è risposta, ma non manca però la più importante: i soldati perdono il controllo perché costretti a confrontarsi con un pregiudizio di fondo da parte della democrazia occidentale contro gli uomini in armi. Un pregiudizio creato in un secolo di guerre, dittature e repressione generalizzata del dissenso.

Un film che non offre speranza né soluzione, solo la verità

Il soldato è qualcosa che serve alla società, ma che la società comunque oggi rifiuta, il mondo occidentale rifiuta, eppure rimane la scelta di chi, come Leon, come i suoi compagni e compagne, cerca un gruppo, una nuova famiglia, qualcosa da fare.
L’idealismo è morto, il patriottismo è peccato, l’esercito è patria di chi vuole sentire di contare qualcosa, di far parte di qualcosa. Ma quel qualcosa è anestetizzato, è assolutamente fuori tempo e fuori spazio, la guerra oggi è lontana da noi, il terrorismo viene combattuto con altre armi, non con i fucilieri per le strade, esiste l’esercito solo in potenza.
Ma è qualcosa che a Leon (come ai ragazzi che noi incrociamo fuori da Piazza di Spagna o di fronte al Duomo di Milano) non sa e non può accettare, che vanifica una scelta di vita, una richiesta d’aiuto.
E guardando questo film disperato, potente, con un cast perfettamente in armonia, non si può non pensare a quanto oggi portare una divisa sovente sia diventato quasi peggio che portare una divisa da carcerato. Non è un paese per soldati.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 2.5
Emozione - 3.5

3.6