Venezia 77 – Wife of a spy: recensione del film di Kiyoshi Kurosawa
Wife of a spy è il film di Kiyoshi Kurosawa passato sulla tv giapponese e ora presentato a livello internazionale al Festival di Venezia.
Kiyoshi Kurosawa ne ha sperimentati molti di generi. Un regista trasversale, che si avventura con Wife of a spy nei meandri di un melò storico dalla riuscita discutibile, che non rende per nulla giustizia alla sua posizione in concorso nella selezione ufficiale della 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Luogo che non sembra appartenergli vista anche la sua collocazione iniziale che vuole l’opera del regista giapponese destinata alla tv nazionale, in cui il film è già stato presentato prima del suo passaggio internazionale al festival, mostrando tutta la fattura appartenente proprio a quel tipo specifico di prodotto audiovisivo, che nulla ha a che vedere con il grande schermo, ma sfrutta l’emotività e le tecniche prefissate per i lavori con cui spendere il proprio tempo a casa.
Ambientato Wife of a spy nel Giappone alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, sfruttando il momento della guerra come bacino per raccontare degli esperimenti disumani esercitati dagli scienziati nipponici nella regione della Manciuria, Kurosawa si affianca alla sceneggiatura a Tadashi Nohara e Ryūsuke Hamaguchi per raccontare la storia di un matrimonio modificato dai segreti e dall’imminenza degli scontri in cui verrà catapultato il mondo intero. Una storia che sceglie le tinte di un noir rosa, sia nella narrazione che in una fotografia la quale, rispetto al genere di riferimento, si avvale di sfumature pacate, di una polvere quasi costante su un’illuminazione dalla colorazione beigiolina, diffusa per l’intera operazione e che viene risaltata dai raggi costanti delle finestre delle scenografie, le quali accentuano tanto la natura da passaggio televisivo dell’opera quanto il suo portato di finzione.
Wife of a spy – La protagonista insopportabile del film di Kurosawa
Un dramma sentimentale che Kyyoshi Kurosawa esalta con l’esagerazione delle esplicazioni emotive dei suoi personaggi, soprattutto quelle spinte al limite della credibilità della protagonista Satoko Fukuhara, personaggio insipido interpretato dalla bellissima Yū Aoi, molto più attinente davanti alla camera da presa per la sua innata capacità di catturare lo sguardo che per una prestazione attoriale indimenticabile o, quanto meno, credibile e indicata.
La giovane protagonista, su cui risiedono davvero troppe aspettative rispetto alla rilevanza che ricopre nel film, in conflitto con la vita misteriosa e indecifrabile dell’uomo che ha sposato – un marito interpretato da un Issei Takahashi altrettanto sovrastrutturato e pomposo, come tutta l’atmosfera dell’opera -, sceglie di assecondare l’uomo e aiutarlo nel suo piano di smascherare un governo violento che esercita i suoi disumani esperimenti all’oscuro di tutti. Una decisione che influenzerà le azioni del racconto, ma ancor più la trasformazione della donna che dovrà scendere a patti con le informazioni inconfessate del coniuge.
Wife of a spy – Un intrigo prevedibile e melodrammatico
Un mutamento che Yū Aoi è in grado anche di rendere esplicito, non sapendolo però esprimere adeguatamente nella messa in pratica di una performance sopra le righe e fastidiosamente forzata, un po’ come tutta la drammaticità di cui Wife of a spy soffre e che finisce per far scadere negli atteggiamenti di una romanticizzazione estremizzata e sfiancante riproposta tanto nel trattato sia personale che storico. Un intrigo, dunque, che seppur riesce a farsi seguire, ha già dietro l’angolo l’evidenza di quello che è e sarà del personaggio femminile principale, fingendo di saper alimentare un pathos che rimane solo nell’esasperazione del film e non ha mai un riscontro dal punto di vista del coinvolgimento del pubblico.
Se in un continuo giurarsi fiducia i personaggi finiranno per entrare in una rete di inganni e sotterfugi, è il pubblico a non riservare il minimo dubbio sulle male intenzioni dei suoi attori e sulla prevedibilità che l’opera va seguendo, con una chiusura reiterata che avrebbe dovuto tagliare il suo racconto prima, portando allo sfinimento non soltanto la protagonista, ma anche coloro che l’hanno accompagnata in questa visione fin proprio alla fine.