Perry Mason: recensione della serie TV HBO in onda su Sky

Il nuovo Perry Mason è un detective alcolizzato che cerca di rimettere insieme i pezzi della sua vita risolvendo il caso di un neonato brutalmente ucciso.

La giustizia siede al centro di ogni tribunale. Ascolta silente i problemi degli uomini, assiste ai loro diverbi e alle loro sentenze fin quando uno di loro non ne condanna un altro in suo nome. Ma è tutta finzione! Una statua bendata costruita per abbellire le pareti degli esercizi legislativi. La giustizia non si trova davvero lì. Non è negli sguardi incerti dei giurati o nelle dichiarazioni del testimone dell’ultimo minuto. La giustizia non risponde ai pesanti colpi di martello del giudice e non si lascia incatenare dalle leggi dell’uomo, perchè non tutto ciò che viene considerato legale è anche giusto. Lo sapeva bene Erle Stanley Gardner quando nel lontano 1933 presentava al mondo il suo ideale di giustizia e che portava il nome di Perry Mason. Un avvocato letterario che dopo essere comparso in oltre 80 pubblicazioni è stato capace di conquistare anche il cinema, con i film della Warner Bros e la televisione grazie ai vari serial TV dove i suoi panni sono stati indossati anche dall’indimenticabile Raymond Burr.

Vista l’ondata revival di vecchi detective che ha colpito il piccolo schermo con il ritorno dell’Ispettore Morse e con l’annuncio del nuovo Colombo, HBO rispolvera la giacca e la cravatta del noto avvocato e la fa indossare a Matthew Rhys. Il nuovo Perry Mason -prodotto tra gli altri da Robert Downey Jr. e da sua moglie Susan – è però molto diverso dall’uomo deciso che siamo stati abituati a veder combattere in tribunale. Quella figura autoritaria capace di inchiodare alla sbarra qualsiasi testimone non esiste ancora e l’unica sfida che sembra interessare il giovane Perry è quella lanciata dai demoni del suo passato ad una corsa senza fine verso il fondo della prossima bottiglia di whisky.

Perry Mason: dal legal drama al noir rimanendo fedele alle proprie origini

Los Angeles, anni ’30. Un momento particolare della storia americana con la Grande Depressione che ingoiava la nazione nascondendo nel caos quotidiano le storie dei poveri diavoli che non riuscivano a stare al passo con la fretta del mondo. Matthew (Nate Corddry) e Emily (Gayle Rankin) Dodson sono due di queste anime sfortunate il cui figlio, Charlie, è stato rapito e ucciso dai rapitori dopo aver incassato i soldi del riscatto. Le dichiarazioni dei Dodson non quadrano e nemmeno le tempistiche dello scambio di denaro. La morte del bambino è sospetta e le poche tracce lasciate dai rapitori sembrano sottolineare tutt’altro eppure la città esige un colpevole e il procuratore distrettuale Maynard Barnes (Stephen Rot) è pronto a dare in pasto ai cittadini spaventati il loro assassino: Matthew Dodson. Un altro uomo qualunque pronto a scomparire divorato dal bisogno delle masse di sentirsi al sicuro, sapendo che non c’è nessun assassino a piede libero pronto a soffocare i loro figli nella culla. A difendere Dodson viene però chiamato il prestigioso avvocato Elias Birchard “E.B.” Jonathan (interpretato da uno smagliante John Lithgow) e la sua segretaria Della Street (Juliet Rylance) che insieme al detective privato Perry Mason dovranno portare la luce nelle strade di una città profonda come il più nero dei caffè.

Ron Fitzgerald e Rolin Jones – che subentrano alla sceneggiatura e direzione della serie dopo l’abbandono di Nic Pizzolato – mettono in piedi una storia che non risparmia nessuno e che porta lo spettatore a confrontarsi con un mondo che chiede risposte senza badare troppo alle domande, fatto di pregiudizi, di sistemi corrotti e di fede, incarnata nella serie dall’Assemblea Raggiante di Dio e dalla sua voce Suor Alice (interpretata dalla bravissima Tatiana Maslany). Per tutta la prima parte della serie TV i colpi di scena si susseguono portando lo spettatore – il povero Mason e il suo collega Pete Strickland (Shea Whigham) – verso una serie di binari morti che chiederanno al protagonista di sacrificarsi trasformando l’intera produzione da serial investigativo a legal drama.

Perry Mason: oltre il tribunale, la vita del protagonista è una delle grandi attrazioni dello show

Perry Mason - Cinematographe.it

Riportare in auge un personaggio come Perry Mason non significa solo svecchiare le tecniche di regia e inserire qualche volto nuovo in una nuova storia, ma aggiornare un prodotto studiato per funzionare negli anni 50 e adattarlo alla nostra generazione. Non è un processo semplice, soprattutto quando dietro al personaggio da editare ci sono trascorsi importanti e una bibliografia sterminata. Fitzgerald e Jones decidono però di fornire a Perry qualcosa che persino il suo stesso creatore aveva solo abbozzato: un passato.

Il Perry Mason di Matthew Rhys è un soldato che si porta ancora dentro gli incubi della guerra, un padre che fatica a mantenere un dialogo con il figlio, un collega capace solo di chiedere favori e un amante che non vede l’ora di arrivare alla fine. È un personaggio all’antica in un mondo che corre troppo veloce per i suoi ritmi, attaccato, senza un motivo preciso, alla fatiscente casa di famiglia, quasi un monumento a tutto quello che rimane dei Mason. È un uomo perso, a tratti squallido, che non conosce la legge e su cui non scommetterebbe nessuno eppure sa come far funzionare la bilancia della giustizia e questo basta per spingere gli altri personaggi e lo spettatore stesso a tenere per lui. L’interpretazione di Rhys è grandiosa nel creare “l’uomo fuori dal tribunale” e risulta ancora più funzionale quando finalmente inizia a prendere consapevolezza delle sue potenzialità in quelle aule in cui la sua controparte letteraria è temuta e rispettata.

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Il protagonista è quindi il grande motore dello show, accompagnato da una serie di altri personaggi scritti in maniera superba e che non mancano di rimanere impressi per la loro forza, ma soprattutto, per le loro debolezze. A tirare i fili sullo schermo una regia diretta ed essenziale che non si perde in guizzi artistici ma va dritta al punto svolgendo un ottimo lavoro soprattutto durante le sedute in tribunale, dove il campo-controcampo tra giuria e avvocati restituisce allo sguardo la stessa forza del botta e risposta verbale.  Per i fan più accaniti non mancano inoltre citazioni alla serie originale e il ritorno – in una rivisitata versione jazz – della sigla classica. L’intero carrozzone funziona talmente bene che le 8 puntate dello show (ognuna di oltre 50 minuti) non bastano e una volta giunti alla fine rimane la voglia di averne ancora, di affrontare un nuovo caso, di vedere quell’uomo inadeguato e fragile crescere e diventare il Perry Mason che tutti conosciamo. Fortunatamente la serie è già stata rinnovata per una seconda stagione e fidatevi se vi dico che non sarà l’ultima.

Perry Mason va in onda su Sky Atlantic dall’11 settembre 2020.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 5

4.3