Venezia 77 – Hopper/Welles: recensione del film
Hopper/Welles è un incontro imperdibile per cinefili e storici. Lo scontro tra due registi simbolo della vecchia e nuova Hollywood.
Orson Welles e la Biennale di Venezia. Chi l’avrebbe mai detto che potesse nascere un sodalizio artistico. Solo due anni fa, in occasione del Festival del Cinema, era stato presentato il film più atteso dai cinefili di sempre: The Other Side of the Wind. Pellicola mai conclusa dal maestro, eppure rimontata, rivista, ricostruita per riportarne in auge l’arte. Ora è addirittura su Netflix. Quest’anno, nell’eccezionalità di un Festival mai così strano, c’è ancora Welles. E ancora in una versione inedita. Non è proprio un documentario, quanto più un frammento di storia. Si chiama Hopper/Welles ed è la registrazione mai mostrata del confronto tra Denis Hopper e Orson Welles.
L’occasione per questa conversazione epocale – che scontra diversi stili e idee di Hollywood e non solo – fu proprio un giorno di riprese sul set di The Other Side of the Wind. La location, che appare anche nel film, è la casa di Hopper sulle montagne del New Mexico. In quel momento, anno 1970, Denis Hopper era alle prese con il difficile montaggio di The Last Movie. A un anno dal successo di Easy Rider Orson Welles lo interroga, con il consueto afflato indagatore, sul futuro del cinema.
Scontro tra titani: chi vince, chi perde
Porre su uno stesso piano Orson Welles e Denis Hopper sembra oggi azzardato. Nel 1970 però il successo di Easy Rider fece pensare a un’altra opera prima di importanza storica: Citizen Kane. Il confronto è dunque generazionale. Due rappresentanti di un mondo in apparenza opposto. Hollywood e la nuova Hollywood. Ma come ogni bravo intervistatore, Welles riesce a smontare queste costruzioni teoriche. Nell’intervista al pupillo della nuova generazione, all’epoca impegnato in un film il cui titolo italiano è rivelatore, Fuga da Hollywood, scopriamo punti di contatto e distanze insormontabili.
Il cinema è una piazza da cui si dirama un mondo. La società – americana, europea (italiana!) – ma anche l’amore, la rivoluzione e il futuro. Se Welles è un fiume in piena, e risponde domandando, Hopper retrocede sino a svelarsi. “Quando vedi un film cosa ti colpisce”, lo interroga, “Quando è personale”. Non basta: “Quando un film è personale?”.
Orson Welles ha 55 anni, Denis Hopper 34. Il primo è un mago. Nelle due ore e undici minuti di dialogo resterà sempre invisibile. Nascosto dalla cinepresa sovrasta ogni cosa. È una voce che cala dall’alto. Hopper invece parla al centro di un’immagine di un bianco e nero granuloso e sottile in cui oggetti e paure si manifestano scioccanti. A un certo punto racconta che in occasione di una lite con un membro della crew, non d’accordo con le sue scelte di regia, gli spaccò la testa su un tavolino da caffè. Si rimane impietriti. Parla senza agitarsi. Poi, come nulla fosse, torna a indietreggiare. Sfugge alle domande, sfuma le risposte. Questa generazione di grande ribellione è un crogiolo di controsensi. Welles è affascinato dalla serenità tragica di questo personaggio.
Aspettando il nuovo Hopper/Welles
“Non denigrare il pubblico, ma fanculo l’audience”. Guardare Hopper/Welles diventa difficile per la quantità di frasi che si dovrebbe trascrivere, rileggere, studiare. “Il regista dovrebbe essere un mago e un poeta piuttosto che un dio”. Il cinefilo si scioglie.
Entrambi stavano girando il loro 8 1/2. Film sul cinema, destinati al nulla. Di Italia si parla anche nel confronto sui gusti. “Ho visto La Notte di Antonioni sette volte e mi sono sempre addormentato”.
Come sappiamo, The Other side of the wind non vedrà mai la luce, se non in assenza del suo regista, mentre Fuga da Hollywood segnerà la fine prematura di Hopper. Hopper/Welles è così un testamento di rara bellezza. Ma non vive nel passato. Guardando si pensa al presente. Non solo alla modernità della logica di Welles. Ma soprattutto alla correttezza di questo confronto.
Comparso a cinquant’anni dalla sua realizzazione, il filmato giunge come monito sul futuro del cinema. Ogni salto generazionale avrebbe bisogno di questo. Oggi, forse, per età e idee, potremmo volere un Tarantino/Chazelle. Per altro il primo, 55 anni e una carriera da icona, è appena uscito da un film sul nascere della Nuova Hollywood, Once upon a time in Hollywood, mentre il secondo, 35 anni e un futuro da conquistare, sta girando Babylon, dedicato al passaggio dai film muti ai grandi talkie. Noi aspettiamo, sperando di non dover attendere altri cinquanta anni.