Nimic – recensione del cortometraggio di Yorgos Lanthimos
Il nuovo cortometraggio di Yorgos Lanthimos è un curioso divertissement. Imperdibile per gli appassionati del regista greco e possibile accesso per neofiti incerti.
Yorgos Lanthimos in provetta. Potremmo definire così Nimic, cortometraggio del regista greco ormai asceso al pantheon del più apprezzato cinema d’autore contemporaneo. L’opera breve è da da poco disponibile su MUBI, piattaforma streaming che per qualità di contenuti e aspettative degli abbonati ne è la perfetta casa. In 12 minuti troviamo il disagio, la sorpresa, il grottesco e la fantasia a cui Lanthimos ha negli anni posto la propria firma. Il formato ridotto condensa ma non riassume. Anzi, sembra espandere l’autore, ne specchia la filmografia per ingigantirla, proprio come accade nella vicenda narrata, dove Matt Dillon e Daphne Patakia interpretano una l’ombra dell’altro. In realtà è un po’ più complesso di così, ma ci arriviamo: è pur sempre Lanthimos, e richiede tempo, attenzione e curiosità. Elementi che lo spettatore concede a Nimic in virtù di una sceneggiatura ambiziosa ma mai saccente.
Nimic, storia di doppelganger con il sorriso di Joker
Lui, un violoncellista sposato e con tre figli. Lei, il suo doppio. Un doppelganger dallo sguardo sempre più folle. La dinamica è ovviamente sfumata, e Lanthimos non spiega se si tratti di magia o episodio maniacale. Anche se è chiaro che valgano entrambe le soluzioni. Il tutto ha inizio in metro. Lui le chiede “Sai dirmi l’ora?”, lei sorride e ripete: “Sai dirmi l’ora?”.
Lanthimos gioca. Per un attimo, Nimic sembra un film di Dario Argento. Le panoramiche e il fisheye, marche distintive del regista greco, seguono Dillon e Patakia lungo la strada. Lei, un cappotto beige lungo a circoscrivere il rosso della maglia, tiene le distanze come in un pedinamento. Prevale l’angoscia, il dubbio. Quando tutto si fa chiaro la vicenda si infittisce, passando dal thriller al paranormale. Chi è lei? Arrivato a casa Dillon si chiude veloce la porta dietro sé. Ma non è una pazza criminale: è un suo doppio, e ha le chiavi per entrare. Riuniti ne cogliamo le differenze che accentuano somiglianze. Segue un dialogo disperato con i figli, a cui il padre chiede conferma. La risposta, glaciale, sembra mimare i pensieri dello spettatore: “Come dovremmo saperlo? Siamo solo bambini”.
La musica di Nimic entra ed esce dall’inquadratura, in un modello già collaudato da Lanthimos: a volte semplice commento, altre parte diegetica degli avvenimenti. Prima è lui a suonare, serio e concentrato, ma infine è lei a prenderne le parti, sotto gli applausi scroscianti della famiglia incapace di cogliere la sostituzione avvenuta. Accade infatti che i due si cambino di posto, con il doppio (una Patakia stretta in un’insania fisica crescente ma misurata) che prende le veci dell’originale.
Il doppio sostituisce Dillon, il quale torna sul treno, ora seduto dove c’era lei. Davanti un ragazzo, “sai dirmi l’ora?”. Fine (o meglio: inizio, ancora una volta). Nimic è misterioso ma soprattutto divertente. Capire cos’altro accadrà, in così poco tempo, diventa l’aggancio a cui si arriva ai titoli di coda. Potrebbe essere un lungometraggio? Speriamo di no. Nel suo riprendere il color grading e la tensione de Il sacrificio del cervo sacro, richiama la fantasia del terrore di The Lobster, senza però voler essere niente più di un intrigantissimo divertissement. Imperdibile per gli appassionati di Lanthimos e possibile accesso per neofiti incerti.
Nimic gareggia con i minuti a disposizione, entro cui sfida lo spettatore a scoprire un segreto. Per riuscirci, Lanthimos sfrutta anche i titoli di testa. Ogni nome, riferimento, informazione, appare d’improvviso in posizioni opposte. In alto, poi in basso. Le parole sembrano rubarsi le lettere, che scompaiono e riappaiono. Il comparto grafico è parte dell’enigma. Il poster del corto, due corpi allungati in linee spezzate a formare la “n” di “Nimic”, partecipa all’esperienza dello spettatore, al quale si fa notare che solo il volto di Dillon appare davvero. Il corto è però una sezione del mistero, e perciò l’origine (e “L’originale”) non ci è concesso. Frustrato, ma intrigato, lo spettatore preme “riavvia”.