Forrest Gump: la storia vera alla base del film con Tom Hanks
La storia vera che ha ispirato il personaggio di Tom Hanks in Forrest Gump, capolavoro per la regia di Robert Zemeckis.
Poetico, delicato, struggente. Forrest Gump (1994) è un film rimasto nella storia del cinema, è uno dei titoli più riusciti di Robert Zemeckis, è una delle interpretazione più amate di Tom Hanks. L’attore dà corpo ad un giovane uomo meraviglioso, dai sentimenti sinceri e profondi, grazie alla sua capacità di interpretare una tipologia di personaggi ben definita anche per l’aspetto da buono. Forrest viene trattato male dagli altri ragazzini, i più lo considerano strano, svitato, lo chiamano stupido e da lì nasce la sua celebre frase “Stupido è chi lo stupido fa”. Forrest è umano, sincero, ama con tutto se stesso e ha l’animo del bambino, non sempre gli sono chiare le durezze degli adulti, il cinismo di chi guarda il mondo con furbizia; è ricco ma non gode a pieno quella ricchezza, vive con quanto basta e il resto lo dà agli altri (una parte ad esempio va alla famiglia di Bubba). Lui è riuscito ad esserci sempre, a vivere alcuni dei momenti fondamentali dalla grande Storia, ha conosciuto i personaggi più influenti della cultura, della politica. Forrest Gump trae ispirazione dal libro di Winston Groom ma l’autore non ha apprezzato il lavoro fatto anche per i cambiamenti apportati, la personalità di Forrest ad esempio – in più Groom aveva pensato a John Goodman per la parte.
Forrest Gump: la corsa come metafora di una vita
Corri Forrest, corri
C’è un elemento – non presente nel libro – della storia di Forrest Gump che fa riferimento ad un evento realmente avvenuto. Il giovane corre – nelle scene non è Tom Hanks a correre ma suo fratello Jim -, quando è piccolo per scappare dai suoi compagni, nonostante i tutori alle gambe, per rilassarsi quando è teso, per raggiungere le donne della sua vita, la madre e Jenny, il suo unico e grande amore, corre perché vuole correre. L’arte di correre, citazione di un libro di Haruki Murakami, potrebbe essere questo il sottotitolo dell’esistenza di Forrest: è un elemento che ha dato forma e sostanza alla sua crescita.
La corsa è parte integrante della storia di questo film ed è interessante che abbiano tratto ispirazione da una storia reale, quella di Louis Michael Figueroa che nel 1982, quando aveva appena 16 anni, aveva corso dal New Jersey fino a San Francisco (praticamente per tutti gli Stati Uniti in diagonale) a sostegno dell’American Cancer Society, poi anni dopo ha ripetuto l’impresa per sensibilizzare le persone alla lotta contro la leucemia e poi un’altra ancora contro la violenza sui minori. Insomma i due sono collegati da questo; la corsa diventa metafora dell’esistenza del personaggio e insegna che si può fare qualunque cosa: riesce a ballare anche se da piccolo la sua colonna vertebrale componeva un punto di domanda, nonostante avesse dei ferri alla gambe che lo facevano marciare come un robot è capace di spezzarli e spiccare così il volo mentre i bulli lo irridono e gli lanciano addosso pietre.
Figueroa e Forrest, due uomini desiderosi di andare
Quel giorno, non so perché, decisi di andare a correre un po’.. e non so perché continuai ad andare
La corsa è parte integrante di questo film, facendosi scena iconica, entrando nell’immaginario collettivo, ed è interessante che proprio essa abbia tratto ispirazione dalla storia di Figueroa. Come non pensare alla corsa folle che Forrest compie per dimenticarsi del dolore per la partenza di Jenny. La sequenza è fondamentale nella costruzione del suo personaggio perché grazie ad un servizio trasmesso al telegiornale per celebrare l’uomo che ha saputo fare di un gesto nato quasi per caso un atto motivazionale, Jenny lo rivede e decide di dargli la notizia che hanno avuto un figlio.
sconosciuto: “Perché continua a correre?”
Forrest: “Avevo voglia di correre”
La differenza tra Figueroa e Forrest però è sostanziale, mentre il primo ha una motivazione per correre, una lotta, una raccolta fondi, il secondo non è spinto da nulla, il suo sembra essere un atto privo di senso, un motivo senza motivo. L’uomo è apprezzato, ammirato da tutti, il suo correre, paradossalmente, diventa forza propulsiva per tutti gli altri: il piccolo Forrest, spesso non voluto dai coetanei, ma amato dagli adulti, ora, diventato parte del mondo dei grandi senza essersene reso conto, è faro per il pubblico di una corsa insensata ma bellissima e piena di senso. Povere anime senza lavoro, persone che non riescono a sbarcare il lunario, gente con tante idee e pochi fatti, si accodano a lui e la loro vita incredibilmente cambia.
Correre per Forrest significa andare avanti, mettere un piede davanti all’altro, ha a che fare con questo; ha fatto sempre così Forrest, sempre, quando è stato un campione sportivo, un soldato, un corridore, quando ha salutato per l’ultima volta sua madre, morta un martedì mattina, o quando ha dato l’ultimo bacio a Jenny, un sabato. Lui sa far detonare ogni cosa, anche le bombe emotive più grandi, sia i dolori più ingombranti, come le gioie inarginabili. Proprio questo suo vivere attimo per attimo senza porsi troppe domande lo ha fatto vivere una esistenza piena, di cose, di persone, di fatti: accanto a quel giovane uomo dell’Alabama è passata la Storia e il più delle volte non se ne è neppure accorto (prende parte alla manifestazione per l’integrazione razziale nell’Università dell’Alabama, partecipa alla Guerra del Vietnam, sarà inconsapevolmente attivo nella distensione del Ping Pong). Racconta, seduto sulla panchina famosa, dei due Kennedy poi morti uccisi, di Johnson che lo ha premiato con la medaglia d’onore, di quella volta che da piccolo ha ballato con Elvis, di quando ha partecipato ad un programma televisivo assieme a John Lennon morto anch’egli per mano di un fan. La vita di Forrest è caratterizzata dalla morte che gli passa accanto portandosi via le persone più care (l’amico Bubba, la madre, Jenny; ma c’è anche la sofferenza, quella del tenente Dan che, irrigidito a causa della perdita delle gambe, maltratta il suo salvatore per lo strazio del vivere), ma lui, pur sembrando un Davide, è un Golia forte e imbattibile.
Forrest vive tutto come un bambino che non consce ranghi, parla di quel signore lì, di quel signore là, smitizzandone il ruolo, e proprio in questo sta il suo essere speciale.
Forrest Gump: essere come il vento
Io corro come il vento che soffia
Senza quel pezzo di vita di Figueroa Forrest non sarebbe stato un personaggio totalmente riuscito, perché la scena che deriva dalla vita del primo in cui il personaggio di celluloide oltrepassa contee, confini, stati, vede l’Oceano e poi torna indietro, per poi rifare di nuovo la stessa strada, dà senso e corpo al film. Un corsa lunga, come lunghi sono i capelli e la barba sotto il capellino, una corsa che gli è servita e lo ha aiutato a trovare quel qualcosa.
“e da quel giorno se andavo da qualche parte c’andavo correndo”
Per Forrest Gump è una regola ormai. Camminando si forma l’autoritratto di un uomo “maratoneta”, un uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza, di autodisciplina, parafrasando la quarta di copertina di L’arte di correre di Haruki Murakami, sottopone così il proprio fisico al duro esercizio della corsa. Forrest mette un piede davanti all’altro e va, macina chilometri e le settimane e i mesi scorrono facendosi poi anni. Non passa giorno però che non pensi a Jenny e a sua madre, a Bubba e al tenente Dan mentre guarda il cielo, non passa giorno che non gli manchino tutti molto.
Come il viaggio è iniziato così è tempo di tornare a casa
Metto un piede davanti all’altro, tutto qui. Quando sono stanco, dormo. Quando ho fame, mangio. Quando devo andare in bagno, vado.
In questa citazione c’è tutto ciò che ha mosso Forrest, una delle più importanti del film; lui corre come vive, senza porsi troppe domande. Così come ha iniziato quella maratona perché ha sentito il desiderio di correre così si ferma e vuole solo una cosa tornare da dove tutto è iniziato. Ha corso per 3 anni, 2 mesi, 14 giorni e 16 ore, intorno a lui il mondo è andato avanti, dietro a lui un gruppo di adepti.
Forrest Gump ha rappresentato qualcosa di unico, di importante per quelle persone – come è stato per il pubblico che l’ha amato in tutto e per tutto – che l’hanno seguito e quindi è normale che quando un “mito” si ferma senza una ragione e pronuncia solo una frase: “sono un po’ stanchino. Credo che tornerò a casa ora”, la piccola coda dietro a lui chieda: “e noi?”. Questa però è un’altra storia, forse un’altra corsa, perché dopo quella fuga Forrest sa benissimo a cosa e dove tornare.