Look Away – Lo sguardo del male: recensione del film horror
Scritto e diretto dal regista israeliano Assaf Bernstein, Look Away – Lo sguardo del male fa sbocciare la maturità della sua protagonista attraverso il riverbero sostitutivo della sua parte narcisistica (e orrifica) mai nata.
Due anni dopo Raw – Una cruda verità, l’horror franco-belga del 2016 che avviava la maturità della protagonista tramite la sua irrefrenabile attrazione per la carne come rito simbolico di scoperta del proprio desiderio, in Look Away – Lo sguardo del male la stessa scoperta identitaria avviene invece attraverso la sostituzione (o ritrovamento) di una parte di sé finora repressa. Riti di passaggio al femminile dunque, che scelgono di piegare il fascino narrativo del rito di coming-of-age ai codici dell’horror in cui la necessaria scoperta della propria essenza avviene fra atmosfere rarefatte, corpi mostruosi e spiriti infestanti. Il film del 2018 scritto e diretto dal cineasta israeliano Assaf Bernstein giunto al suo secondo lungometraggio, mette in scena un racconto di formazione gemellare, sull’incomunicabilità generazionale, l’alienazione giovanile e l’oppressione idealizzata del raggiungimento della perfezione.
Look Away – Lo sguardo del male: la trama
Maria (India Eisley), diciassettenne studentessa solitaria, conduce una vita di alienazione e negazione fatta di continui atti di bullismo da parte dei coetanei del liceo e una profonda incomunicabilità con i genitori che la vorrebbero più aperta, più audace, più femminile. Il suo corpo congelato in una perenne adolescenza imbriglia la sua maturità in un eterno essere bambina, rifiutando spesso il cibo e le combinazioni amorose della madre per trovarle, finalmente, un partner che la accompagni al ballo studentesco. Maria è la figlia difficile che “deve ancora sbocciare”, l’anello debole e irrisolto di una famiglia a-sentimentale con un padre (Jason Isaacs) chirurgo plastico ossessionato dalla bellezza e una madre (Mira Sorvino) traumatizzata che continua a sognare quel parto gemellare dal quale però è nata una figlia soltanto. Compiuti i diciotto anni la ragazza inizierà a vedere riflessa allo specchio un’altra sé; l’immagine speculare che le chiederà di abbandonare la Maria sinora conosciuta e accogliere l’altro lato della sua identità per condurla verso l’affermazione della propria parte vincente. Ma Airam, la parte malvagia che controlla ora la sua vita prenderà il sopravvento, e far tornare la vecchia Maria sarà forse impossibile.
Il piacere riservato e l’apparente inconsistenza femminea
Se il passaggio all’età matura comporta un’evidente consapevolezza del proprio corpo come arma seduttiva e di affermazione della propria femminilità, è infatti sin dalle primissime sequenze che il corpo di Maria diventa il vero protagonista. La perenne inappetenza, il pallore in volto, il tic da disturbo da escoriazione, una certa trasandatezza nel vestire e nel truccare evidenziano la condizione alienata ed estraniante della protagonista, mettendo in chiaro sin da subito le ragioni profonde di un malessere esistenziale. Se Maria è inibita, controllata ed esercita il proprio piacere sessuale in piena autonomia domestica, Bernstein fa dell’auto determinazione sessuale e ammaliante della sua controparte malvagia Airam la cifra simbolica di uno scontro interno fra natura sottomessa e natura sovversiva che coesistono nell’identità della protagonista. Due facce della stessa medaglia forse, una sorella gemella mai nata oppure una doppiezza narcisistica di una protagonista che sta per affacciarsi ad una femminilità risolta e compiuta e ritrova nell’altra sé tutto ciò che vorrebbe disperatamente essere ma che non è ancora.
L’horror a la mercé del coming-of-age
Look Away – Lo sguardo del male è possibilista e forse mai definitivo, aprendosi a diverse interpretazioni e lasciando allo spettatore (in particolare alla spettatrice) la variabile per decodificare il tema del doppio, qui declinato e declinabile. Bernstein sa come usare l’horror alla mercé di un racconto di crescita, ma nonostante l’inizio accattivante la prevedibilità successiva della parte centrale e conclusiva ha la meglio e il film sembra virare verso un revenge movie indebolito dalle sue stesse (alte) premesse. L’interessante idea della parte speculare e lacaniana della propria immagine riflessa allo specchio e la riflessione inerente alla scoperta del desiderio (e della propria identità) infatti destano curiosità maggiore rispetto all’utilizzo degli stilemi del genere horror, che infatti si risolvono in qualche trovata splatter e in un’angoscia che lo spettatore difficilmente riesce a percepire appieno nella sua totalità.