Berlinale 2021 – Natural light: recensione del film di Dénes Nagy
La recensione di Natural light, il film di Dénes Nagy presentato alla Berlinale 2021 e tratto dal racconto di Pàl Zàvada.
Nella seconda giornata della Berlinale 2021 si esplora il mondo della guerra e delle sue dinamiche interpersonali, sullo sfondo di un Est Europa occupato dai militari con Natural light.
Semetka è un contadino ungherese che si presta per combattere al fianco delle forze armate per guidarli in cerca di nuovi gruppi partigiani. Finiti sotto i colpi degli avversari, il loro gruppo viene decimato, compreso anche il Comandante in carica che viene ucciso nell’attacco. Tocca dunque a Semetka prendere il comando e guidare i soldati verso l’obiettivo della loro missione: il ruolo affidatogli porta il contadino a dover affrontare le sue paure e le sue stesse attitudini, dovendo gestire situazioni di caotico furore, che sfuggono continuamente al suo controllo.
A far da contraltare al caos della guerra, Natural light pone il silenzio e la mancanza di comunicazione che regna nel gruppo. Fatti salvi i momenti degli attacchi, infatti, il viaggio dei soldati è immerso completamente nel silenzio della parola e nei rumori della natura. Lo scorrere dell’acqua del ruscello, lo stormo di uccelli e i passi degli uomini sulle foglie si alternano a brevi scambi di parole, strettamente funzionali alle operazioni che via via devono mettere in pratica per sopravvivere. A questi lunghi silenzi si giustappone a scoppi di granate e urla di comandi, in cui si continua in ogni modo a perseverare nella stessa cortina di incomunicabilità che regna anche nel silenzio più assoluto.
Natural light: la guerra come esplosione del caos nel film di Dénes Nagy
Anche a livello cromatico ed estetico Natural light gioca su uno sfondo argenteo e lunare che caratterizza il bosco e le montagne in cui si muovono i protagonisti, su cui esplode (letteralmente) il rosso del fuoco delle esplosioni, con tutte le sue sfumature calde, non lasciando spazio a mezze misure tra un estremo della freddezza del silenzio e il bruciore degli scontri.
Per il suo esordio come regista di un lungometraggio, Dénes Nagy sceglie un racconto di Pàl Zàvada, incentrato appunto sulla descrizione della guerra come esplosione del caos priva di senso emotivo. Quello che emerge soprattutto dal rapporto dei protagonisti è infatti la mancanza di risvolti psicologici, la privazione di approfondimento che regna sui personaggi. Questi sono sempre visti come gruppo, mai come singoli: solo il ruolo che ricopre distingue Semetka e il Comandante dal resto del plotone marciante, ma anche i compiti affidati a ognuno risultano quasi casuali, amplificando quella sensazione di totale mancanza di senso emotivo che accompagna le guerre e le loro esplosioni.
In Natural light i protagonisti sono attori non professionisti, le cui interpretazioni coadiuvano quella sensazione di spaesamento e straniamento tanto ricercata dal regista negli sguardi e nelle brevi frasi che i soldati si scambiano fugacemente e che arrivano allo spettatore solo per attimi fortuiti. Il film parla per ossimori, per giustapposizione di estremi opposti: il freddo e il caldo, il silenzio e le esplosioni, il ghiaccio e il fuoco. Tutto questo in una bolla esistenziale sospesa in un luogo spazio-temporale solo rilevato dalla lingua utilizzata, ma che lascia aperta la possibilità di traslarlo ovunque. Non è un caso che le divise militari siano a malapena intellegibili, formano una cosa unica con lo sfondo del bosco, così come diventano appena percettibili i soldati stessi, i quali subiscono sempre più una sorta di annientamento fisico oltre che psicologico durante questa guerra che, è evidente, non appartiene a nessuno di loro.