The Stand: recensione finale della serie TV tratta dal libro di Stephen King

Un virus decima la popolazione mondiale, e i sopravvissuti devono decidere da che parte stare: Buoni o Cattivi? Meglio seguire la mistica Madre Abagail o il luciferino Randall Flagg?

Ogni nuova trasposizione da Stephen King è, potenzialmente, un cult. Perché cult sono quasi tutti gli scritti di riferimento dell’autore statunitense, dal primissimo Carrie (1974) a The Outsider (2018), passando per Misery (1987) e Il miglio verde (1996). La bibliografia del Re è un pozzo senza fondo, per la realizzazione di film e/o serie tv. Ma la verità è che poi, di tutti gli adattamenti fatti finora, solo – forse – una scarsa metà merita di essere ricordata, mentre la restante parte cade nell’oblio immediato o, peggio, viene dileggiata o aspramente criticata.
Il problema – o, meglio, uno dei problemi – è che gli scritti solitamente torrenziali di King affrontano tanto, troppo per essere resi in modo soddisfacente da un punto di vista visivo: troppe sottotrame e sollecitazioni, troppe metafore affastellate l’una sull’altra e troppi topoi narrativi. The Stand (tradotto chissà perché in italiano come L’ombra dello scorpione) non sfugge a questa logica, e non è un caso che molti fan avessero sperato in una serie suddivisa in tre stagioni, proprio come i macrocapitoli del libro.

The Stand: tutti possiamo scegliere, finché è possibile

The Stand - Cinematographe.itAmbientato letteralmente “alla fine del mondo”, The Stand – prodotta per StarzPlay, canale a pagamento di Amazon Prime Video – inizia con la morte di quasi tutta la popolazione dell’America (e, immaginiamo, del mondo) in seguito alla dispersione di un’arma batteriologica sfuggita dai laboratori del governo Usa: la chiamano “Capitan Trips”, causa la morte in pochi giorni e non conosce, al momento, cura o vaccino. L’apocalisse è già avvenuta, e non restano che macerie. I sopravvissuti, a questo punto, possono scegliere da che parte stare, grazie anche a delle visioni sconvolgenti.

Non aspettiamoci un’indagine su pandemie e affini, naturalmente: qui il virus è un mero pretesto per raccontare altro. Ovvero, la lotta per la sopravvivenza, suddivisa tra Buoni e Cattivi. Il tipico tema della poetica kinghiana legato alla lotta tra Bene e Male, simboleggiati dalla portavoce divina Abagail, 108 anni (interpretata da una rediviva Whoopi Goldberg), e dall’Uomo Oscuro Randall Flagg (personaggio ricorrente negli scritti di King). Due fazioni e due percorsi umani quindi, incarnati dai vari Stu, Nadine, Glenn, Frannie, Nick, Tom, Larry.

Io non temerò alcun male

The Stand - Cinematographe.itSarebbe stato probabilmente più logico, nei panni degli sviluppatori Boone e Cavell, decidere quali aspetti della trama originaria sviscerare. Si decide invece di toccare tutto, senza purtroppo approfondire nulla. The Stand manca di coesione, tensione, ritmo: tutto accade come in un lungo flashback, come evento risaputo da riportare alla mente (e, in questo, la struttura a strappi temporali non aiuta). Anche i protagonisti, inevitabilmente, ne risentono: la coralità non premia nessuno dei caratteri in gioco, le personalità (anche le più importanti, come Stu e Frannie) restano bidimensionali e tratteggiati in modo grezzo.

Tutto questo, va detto, non rende i 9 episodi della miniserie indigesti o inaffrontabili; semplicemente, si ha la sensazione – per l’ennesima volta – di assistere a un prodotto dalle grosse potenzialità gestito con approssimazione e superficialità. Non svolge bene il suo lavoro, ahinoi, neanche l’ultimo episodio, scritto personalmente da Stephen King e dunque “inedito”, diverso rispetto alla conclusione del romanzo. Dopo oltre 400 minuti di visione, a restare sono l’idea che non si debba mai tenere alcun male, che anche nelle situazioni più disperate sia necessario resistere e che la malvagità non muoia mai del tutto. Davvero troppo, troppo poco.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 1.5

2.2