Cuban Dancer: recensione del documentario di Roberto Salinas

Il sogno di Alexis è quello di diventare un ballerino professionista. Ma per la sua carriera dovrà scegliere: proseguire a Cuba o trasferirsi in America, lontano dai propri affetti e dalla propria terra?

250 ore di girato, per una durata complessiva di 4 lunghi anni: Cuban Dancer di Roberto Salinas – presentato prima alla Festa del Cinema di Roma e ora al 20° Glocal Film Festival – racconta in presa diretta la vita di Alexis Valdés, giovane promessa del balletto nazionale cubano. Da La Havana, dove nel 2015 il ragazzo si “abitua alla vita da ballerino” al trasferimento in Florida, fino alla maggiore età e alla firma del suo primo contratto professionale con la San Francisco Ballet Company.
Non si può dire che il documentario di Salinas punti sull’originalità: la struttura è piuttosto convenzionale (e non potrebbe essere altrimenti), tra le lezioni di danza e quelle a scuola, il rapporto con gli amici e quello con la sua compagna Yelenia. Tutto è affidato all’indagine sul corpo e sullo sguardo del protagonista: nei suoi occhi leggiamo speranze e piccole frustrazioni, sul suo fisico in continua evoluzione scopriamo l’orgoglio e la forza di volontà di chi si sente nato e destinato ad un unico obiettivo.

Cuban Dancer: Ballare per un sogno

Cuban Dancer - Cinematographe.itLa storia di Alexis è anzitutto quella di una famiglia e di un intero Paese. Perché essere cubani significa combattere quotidianamente con l’attaccamento per la propria isola e la necessità – non per tutti, ma per molti – dell’emigrazione. Qui siamo di fronte a un caso particolare: i genitori del ragazzo infatti non se ne vanno per ragioni economiche o politiche, ma per raggiungere la figlia negli States e per permettere al secondogenito di proseguire la sua formazione in un ambiente più consono alle sue ambizioni.

Alexis, pienamente impegnato nella sua professione, sembra capace di esistere e resistere in una “bolla” artistica in cui le questioni del mondo reale raramente incidono. In lui convive un forte senso di sradicamento (con tutto ciò che ne consegue, come l’idea di sentirsi esule in terra straniera, e per questo privo di identità) e la ferrea volontà di proseguire a qualunque costo il suo cammino. In questo il film sembra ragionare un po’ troppo per ellissi: i conflitti difficilmente ci vengono mostrati, si preferisce passare direttamente alla soluzione dei piccoli/grandi dilemmi che attanagliano il talentuoso étoile.

“Chiudere un capitolo e aprirne un altro: penso che sia così che va la vita”

Cuban Dancer - Cinematographe.itCome a dire che sono presenti gli inevitabili alti e bassi professionali nell’affrontare le delusioni e le gioie della vita dell’aspirante ballerino, certo, ma niente di troppo drastico. Così, quando sentiamo il suo insegnante americano rimproverarlo con un “Hai lasciato fuori il dramma” dopo un esercizio lasciato a metà, noi spettatori tutto sommato immaginiamo quella critica rivolta anche al regista, che per amore di brevità e per non perdersi in troppi rivoli narrativi intraprende la via della semplificazione restando spesso sulla superficie delle cose e non mettendo mai in discussione il suo personaggio principale.

Con le ragioni “diplomatiche” e istituzionali lasciate sullo sfondo (sentiamo riecheggiare i nomi di Trump e Obama un paio di volte, mentre qualcuno guarda la tv), Cuban Dancer resta attaccato allo spunto iniziale del grande sogno da difendere con le unghie e con i denti, a volte esplicitato da intermezzi danzanti che veicolano un significato e altre dalle poche frasi pronunciate da Alexis a favore di cinepresa. A 19 anni, con una maturazione emotiva e intellettuale ormai completa, l’astro nascente continuerà a definirsi semplicemente un “ballerino cubano”. Senza alcuna presunzione, dunque, e al contempo senza alcun dubbio; perché “essere cubano significa essere un guerriero. Noi non ci arrendiamo mai”.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.7