FESCAAAL 2021 – To the End of the Earth: recensione del film di Kiyoshi Kurosawa
Un film poetico e silenzioso, diretto da Kiyoshi Kurosawa e presentato al FESCAAAL 2021.
Una ragazza parte per lavoro. Una ragazza fa un viaggio in Uzbekistan. Una ragazza che si cerca, ponendosi domande, per trovare il proprio posto, la propria ragione e il proprio scopo. Racconta questo To the End of the Earth, il film di Kiyoshi Kurosawa, presente nel programma del FESCAAAL 2021 (Milano, 20 Marzo -28 Marzo 2021).
To the End of the Earth: il racconto del viaggio di Yoko
To the End of the Earth è un film difficile da descrivere e da spiegare, perché è un film di paesaggi, di silenzi, di mancanza di comprensione. Questo è un testo che studia la sua protagonista, Yoko (Atsuko Maeda, già protagonista di Seventh Code, sempre del regista), giovane giornalista televisiva giapponese – il cui nome ha un’etimologia particolare, figlia dell’oceano e figlia della foglia -, che parte per l’Uzbekistan per lavoro e a poco a poco lo spettatore partecipa alla sua crisi emotiva dopo una serie di incomprensioni, che svolge un lavoro che richiede entusiasmo ma che non la apprezza. È una narrazione sul rapporto tra la protagonista e il mondo che le sta attorno, uomini, animali, natura, e di conseguenza su ciò che lei decide di dire e di raccontare perché essere nel mondo vuol dire essere visti e ascoltati, anche nel silenzio, anche quando non si dice nulla. Yoko è la protagonista classica, una straniera che arriva in un villaggio sconosciuto da sconosciuta; da una parte c’è lei, una cellula estranea, dall’altra parte tutto il resto che emerge da un paesaggio, dalla natura, dal modus vivendi, lontano dalla tecnologia – la popolazione vive una vita semplice -, dalle giornate meno frenetiche, dai miti e dalle leggende. La ragazza impara da tutto questo, apprende energia, magia e inizia a confondersi, sembra non capire più ciò che è realtà e ciò che non lo è – si pensi al momento in cui canta una versione commovente di Hymne a L’Amour di Edith Piaf, all’interno del teatro Navoi che l’accoglie con i versi di Mimi della Boheme di Puccini, “Sono la sua vicina che la viene fuori d’ora a importunare”.
To the End of the Earth: Yoko, una sorta di Alice
Kiyoshi Kurosawa spinge a guardare il mondo attraverso gli occhi di Yoko, ingenua, delicata, una Alice nel paese delle meraviglie. È una narrazione che si basa e si fonda sul senso di perdita, la protagonista a poco a poco perde tutte le sue abilità. Inizia con il linguaggio verbale – perché lei non conosce la lingua e ha bisogno di un traduttore, infatti quando gli abitanti le parlano non può rispondere e non compaiono i sottotitoli: noi e lei siamo uguali -, passa allo smarrimento fisico – non sa bene dove si trova -, fino ad arrivare ad uno più profondo – Yoko (si) mette in dubbio, le proprie scelte e anche sé stessa, la sua vita e i suoi sogni, vorrebbe fare la cantante ma fa l’inviata. Come “Alice” non ha più sicurezze, non ha punti fermi – senza linea telefonica e internet -, non conosce le persone che ha intorno, si sente sola e nel momento in cui ha più bisogno presa dal terrore fugge disperata e spaesata. Il regista costruisce alla perfezione la sua paura, dà il senso dell’isolamento – come già detto si parte proprio dal linguaggio -, lo si capisce da come cammina, dal modo in cui fa ciò che la sua troupe – composta da uomini – vuole senza porsi tante domande. Lei è al centro e vittima degli sguardi – è un’inviata, le telecamere la seguono, i suoi colleghi la guardano, la gente del posto la osserva -, spesso indiscreti, a tratti curiosi.
L’opera del regista è un film che si fonda su un’idea, quella dello specchio, della copia di qualcosa: La piccola troupe di Yoko è specchio di quella che li riprende, l’Uzbekistan è specchio del Giappone, la stessa immagine televisiva di Yoko è specchio della lei fuori dal piccolo schermo.
To the End of the Earth: un film poetico e silenzioso
Il film di Kurosawa è silenzioso e poetico, musicale e paesaggistico addirittura fantascientifico a tratti. Il messaggio del film lascia intendere un universo altro lontano che suona proprio attraverso il corpo di Yoko che percepisce ed riecheggia la solitudine, atavica, un vuoto, insicuro e pericoloso, e solo vivendo in questo la protagonista può capirsi e liberarsi – nel canto.
Peccato per alcune lungaggini, soprattutto nella parte centrale, che non permettono al film di fluire e di approfondire qualche tematica che viene solo accennata nell’opera.