E ora dove andiamo? (2011): recensione della commedia di Nadine Labaki su Amazon Prime Video
Un setting straordinario e sospeso nel tempo, teatro di una commedia deliziosa che si mescola con un contesto bellico devastante. La seconda opera di Nadine Labaki, E Ora dove andiamo?, fa della leggerezza il suo punto di forza.
Disponibile su Amazon Prime Video, abbiamo un ticket di accesso per un mondo ancora inedito per l’ottica di noi spettatori. Siamo in un paesino isolato del Libano, e Amal (Nadine Labaki) è la protagonista di una storia che fa dell’intimismo e del senso di unione di una comunità di cristiani e musulmani una carta vincente per il crescente fattore emozionale. Nel momento in cui i ragazzi del villaggio riescono a recuperare un’antenna parabolica e finalmente riescono a ricevere segnali per notiziari e programmi di intrattenimento, le dinamiche nella comunità iniziano a modificarsi. Amal e le donne della sua comunità cercheranno di mantenere gli equilibri fra le parti, con una quotidianità che cerca di irrompere come soluzione ai mali che possono assalire i personaggi.
E ora dove andiamo?: sollevare gli animi degli abitanti e dello spettatore
Nadine Labaki, alla sua seconda opera da regista, sceneggiatrice e attrice protagonista, trova un punto di incontro fra forma e contenuto, fra tratti delicati e atmosfere rarefatte che trovano una dimensione terrena e tangibile. Un paesino del Libano diventa un palcoscenico luminescente, sopra la quale si sviluppano rapporti universali e intese straordinariamente armoniose. Cristiani e musulmani convivono in pace, e la cinepresa si interessa molto a percepire il cameratismo e l’ordine dettato dalle donne che popolano la pellicola. Donne non inserite per creare delle fazioni nette e distinte, manipolando le fila della narrazione, ma personalità eleganti, affascinanti, ritratte come vedove rinate e padrone del loro destino.
Il film ci indica un percorso costruito in altezza: dalla morte e dalla sofferenza, esistono strumenti, modalità di racconto e metodi di comunicazione efficaci per ristabilire una rotta sicura, ma non per questo immutabile. Il dramma non cerca di invadere di prepotenza l’opera di Nabaki, rimane in attesa di nuovi ordini in sede di sceneggiatura: il conflitto a fuoco e l’odio fra cristiani arabofoni, una significativa minoranza religiosa in un’area a maggioranza islamica, e i musulmani tenta di ritagliarsi uno spazio per cambiare il registro del film. Sia gli abitanti protagonisti che colei che riprende il nucleo e lo scompone sono consapevoli di un dramma umano sporcato di sangue e di disprezzo verso il prossimo.
La guerra partorisce uomini impauriti e pieni di collera
In questo modo, la storia si concede delle parentesi importanti sulla condizione sociale calpestata dagli orrori della guerra. Una minaccia esterna che raggiunge una cerchia esclusiva e sistemata con cura e rinnovata fiducia verso un collettivo risvegliato. Le armi, la rabbia accecante, la sete di vendetta e la risposta al fuoco sono elementi di disturbo che possono minare la stabilità di un gruppo finemente ritratto dalla regista libanese. Gli uomini fanno parte di un gregge facilmente influenzabile, che ha bisogno di correggersi e riprendere lo stesso controllo impartito dalle loro coinquiline. Non si tratta di una critica severa alla natura selvaggia dell’uomo, in piena cattività, nel momento in cui ogni regola viene dimenticata; la regista si focalizza di più sulla scintilla che alimenta il fuoco, su un evento più grande dei protagonisti che deve essere ridimensionato.
E ora dove andiamo? diventa anche un chiaro grido di aiuto, ma accolto con grande inventiva e mirabile delicatezza da una cineasta consapevole delle crepe che si vengono a formare in una mentalità ristretta, ma convinta di riuscire a sorvolare i nostri limiti autoimposti per ampliare vedute e prospettive. Da segnalare una scelta interessante di brani originali che ci conducono negli attimi più puri e autentici, che si possono respirare e assorbire nella loro totale bellezza: abbiamo balli tradizionali, cerimonie e usanze tipiche che trovano una nuova forma di espressione, e una continua danza che invita alla speranza di giorni migliori. Dall’unione fra stile, mano raffinata dietro la cinepresa, squarci di sfondi lucenti e personaggi animati dal candore più sentito, troviamo un film perfetto sull’appartenenza, sull’influenza positiva da diffondere e sulla forza interiore che può e deve abbattere le mura di scenari incerti sul fronte bellico.