Corpus Christi: recensione del film di Jan Komasa

Corpus Christi, atto terzo della filmografia di Jan Komasa, si ispira ad eventi realmente accaduti per centrare il focus sulla riscoperta del concetto di comunità, passando per una religiosità al servizio dell'uomo. La recensione.

Nella folle riorganizzazione dei calendari distributivi, dovute ovviamente a “voi sapete cosa”, capita che un film di lavorazione precedente si ritrovi a dover uscire dopo il successivo. Questo è il destino di Corpus Christi (titolo originale Boże Ciało), la terza fatica di Jan Komasa, presentato a Venezia nel 2019, candidato agli Oscar 2020 come miglior film straniero e costretto a fermare il suo percorso nel nostro Paese quando The Hater (ultimo lavoro del regista polacco) è invece disponibile su Netflix addirittura da luglio 2020.

Corpus Christi è il racconto di finzione tratto da una incredibile storia vera (anche se il regista giura che “non è poi una tale rarità“) di un ragazzo che si finse prete per ben tre mesi, non disdegnando di celebrare ogni tipo di funzioni religiose. Una pellicola importante per la storia recente della Polonia e anche per i percorsi di Komasa e del suo splendido interprete, il giovanissimo Bartosz Bielenia.

Il film riprende il suo viaggio nelle sale italiane il 6 maggio 2021, distribuito da Wanted Cinema.

Corpus Christi: Daniel e Padre Thomas

Bartosz Bielenia, cinematographe.it

Daniel è un giovane che sta scontando una pena non proprio leggera in un riformatorio duro, in cui vige la legge della giungla: o si mangia o si viene mangiati. Un luogo dipinto come un ambiente terrorifico, ben lontano da una struttura di recupero, caratteristica che, essendo abitato da giovani, dovrebbe essere invece ancora più spiccata.

C’è però padre Thomas, sacerdote anticonformista e dal pugno duro, nel quale il ragazzo sembra aver trovato una guida nell’attesa di rifarsi una vita nel mondo vero. Opportunità che si materializza poco dopo l’inizio del racconto di Corpus Christi, dato che Daniel viene rilasciato con la condizionale, sebbene non possa in alcun caso iniziare il sacerdozio come vorrebbe, dati i suoi precedenti penali. Si reca quindi in un paesino dall’altra parte della Polonia, dove, grazie ad una raccomandazione, potrebbe iniziare a lavorare in una segheria poco fuori il centro abitato. Lungo il cammino però Daniel si imbatte nella chiesa locale, dove, come trascinato dagli eventi (o dalla fede?) si ritroverà a presentarsi come padre Thomas (proprio lui) e a dover persino sostituire il parroco, almeno per qualche tempo.

Un’esperienza che cambierà per sempre la vita del ragazzo e la vita della piccola comunità, la quale si troverà a dover fare i conti con una visione della religione scevra da poteri e da ruoli e più intima, alla portata di tutti e, dunque, di nuovo da scoprire.

“Ognuno di noi è un sacerdote di Dio”

Corpus Christi, cinematographe.it

Partendo dalla struttura di un racconto di redenzione, Corpus Christi assume presto le sembianze di un racconto di formazione, che oltre a parlare di come la religione possa diventare un mezzo per capire ed esprimere se stessi ci racconta anche di come essa si sia trasformata, in maniera radicale, da un servizio alla comunità a corpo estraneo, relegato al ruolo di capro espiatorio, nonché giustificativo ideale anche per atti di estromissione. Una visione che pone lo spiritualismo su un piano terreno (scusate il paradosso) e che arriva ad acquistare ancor di più una spiccata rilevanza sociale perché ambientato in un Paese in cui il cattolicesimo ha una importanza strutturale.

Il nodo della trama diventa un incidente stradale tra due macchine, occorso nel paesino, in cui hanno perso la vita dei giovani e un uomo adulto, tacciato dal resto della comunità come un assassino per elaborare l’immenso lutto per la tragedia. Una trovata che permette a Komasa di piegare il concetto religioso secondo una dimensione crossgenerazionale, in cui sono in gioco i punti di vista di, fondamentalmente, due visioni, divise non solo per età, ma anche per la voglia di ascoltare e di capirsi piuttosto che avere la pretesa di essere capiti.

Corpus Christi: il significato del film di Jan Komasa

Corpus Christi, cinematographe.it

Un messaggio positivo, un monito per le società contemporanee, che Corpus Christi ha nel suo protagonista, interpretato magistralmente da Bartosz Bielenia, in grado di fondere la perdizione di un giovane problematico e schiavo degli eccessi con una sensibilità quasi femminile; genuina nella sua voglia di mettersi in gioco e nella sua visione della religione come mezzo per ascoltare anche gli altri.

Nel dipingere la sua tela fredda e molte volte feroce, Komasa lascia che ci guidino gli occhi dei suoi attori, rivelatori di una ipocrisia (mal)celata nella fede religiosa e che sguazza nel presunto silenzio di Dio. Fonte di angoscia per chi non ha la volontà per primo di interpellarlo e di sentire le sue parole negli eventi della vita, come coloro che, per motivi terreni, sono ritenuti degni di indossare la tonaca e che invece sono i più sordi e ciechi di tutti, anche quando un miracolo si palesa davanti a loro.

Con Corpus Christi il regista polacco corona un talento che già si era visto nelle sue precedenti opere e confeziona un film dalle mille tematiche, complesso, ma sobrio, tenuto in equilibrio da una direzione che pondera bene i ritmi, non disdegnando accelerazioni improvvise e cambiamenti di registro, sempre ben contestualizzati e al servizio del messaggio filmico.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1