Saint Maud: recensione del film horror di Rose Glass
Disponibile su tutte le piattaforme on demand, l'esordio di Rose Glass colpisce per metodo di realizzazione e carica drammatica crescente e dosata con efficacia da due performance di rilievo.
Presentato in anteprima, nel 2019, al Toronto International Film Festival, Saint Maud raggiunge i nostri (piccoli) schermi con una storia del tutto particolare, che riguarda una giovane infermiera di fede cattolica, Maud (Morfydd Clark). Non lavorando più in ospedale, decide di prendersi cura di Amanda (Jennifer Ehle), una ex ballerina dotata di una dirompente personalità ma colpita da una malattia terminale. Maud cerca di coinvolgere Amanda nelle sue preghiere e nelle sue pratiche, in attesa di ricevere dei segnali da parte di una fede sempre più assente nella sua vita. Il film decide di seguire il percorso distruttivo ideato da Maud per auto-infliggersi danni permanenti alla sua psiche e alla sua condizione di martire perennemente pentita. Saint Maud è disponibile per l’acquisto o il noleggio premium su tutte le piattaforme on demand.
La lunga discesa verso gli inferi e l’eterna dannazione in Saint Maud
Pur contenendosi con la durata, Saint Maud riesce con grande inventiva a scuotere le fondamenta di due protagoniste affrante e colte da un perenne senso di solitudine. Maud e Amanda condividono una strada tortuosa, legata a doppio filo con una parvenza di luce divina che poco a che fare con la redenzione. La regista Rose Glass, che figura anche come sceneggiatrice, prende le redini di uno scenario sempre più soffocante che va alimentando le paranoie di entrambe le protagoniste. Si rilascia un quantitativo di informazioni impressionante tra le righe di una trama basilare e regolata da poche pause e un crescendo inarrestabile di tensione.
Una routine dettata da una fede che inizia a vacillare con il passare dei minuti, e Maud svolge il ruolo di una salvatrice designata che prosegue una personale crociata con l’intento di elevare dei corpi martoriati e renderli liberi da ogni influenza esterna alla casa. Alla regia ci si concentra su una illuminazione scarna, che mostra innumerevoli ombre in attesa di intercettare una luce divina che va perdendo di definizione. Ben Fordesman predilige il rosso associato alla corruzione di un’anima perduta e mai soddisfatta del proprio cammino, e il nero che avvolge gli interni di una location condannata all’eterna dannazione. Tasselli che hanno una loro valenza e importanza per potenziare l’approccio registico e le performance messe in evidenza, soprattutto una Morfydd Clark padrona della scena in ogni atto da compiere e studiare nelle movenze e nelle sue considerazioni affidate al voiceover.
Saint Maud: una crescita spirituale che si trasforma in un incubo ad occhi aperti
Nell’introduzione di ogni atto, si assiste ad una sistematica discesa e ad una fine programmata al dettaglio, con una deformazione accentuata sul viso e sul corpo di Maud e un restringimento nel quadro visivo regolato da mani sapienti. La cornice limitata e la flebile luce che accompagna il percorso spirituale della giovane protagonista sono dei segnali da cogliere per abbracciare una nuova idea di oscurità, che svolge una doppia funzione: emblematica per le scelte fotografiche e per occupare gli spazi di una cinepresa affamata di svolte deliranti, e distruttiva per le donne che credono di prendere il controllo degli eventi e dei cambi di tono attuati. La depravazione morale va distorcendo la dimensione che è stata definita in sede di scrittura, e una vita dissoluta emerge da delle personalità scomposte che non si sentono più a loro agio con un corpo in decadimento.
Come riuscire ad assolversi e lasciarsi accogliere da una fede che non conosce peccato? Si traccia un’ossessione che supera ogni confine strutturale, e Saint Maud lascia che i peccatori si distruggano a vicenda con congetture, preghiere recitate con estrema convinzione e accuse infondate. È un vero e proprio passo a due, con Amanda e Maud pronte a richiamare una dimensione ultraterrena che può abitare solo nei loro pensieri; Rose Glass dirige con grande senso del ritmo, evidenziando l’espressività sofferta delle due straordinarie attrici in perenne conflitto fra loro, con parole taglienti a definire le posizioni di rilievo e una musica sinistra e contaminata da bassi potenti che richiamano una spiritualità incauta e diabolica.