La donna alla finestra: recensione del film Netflix con Amy Adams
La recensione dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di Joe Wright, trasposizione dell’omonimo bestseller dello scrittore newyorchese A. J. Finn. Un thriller derivativo che vanifica la presenza di un cast stellare capitanato da Amy Adams. Disponibile su Netflix dal 14 maggio.
Tra i tanti titoli rilasciati da Netflix nel mese di maggio, La donna alla finestra è sicuramente uno di quelli più attesi dagli abbonati del colosso dello streaming a stelle e strisce e non solo, che hanno dovuto pazientare un bel po’ prima di poterlo vedere. Il film, infatti, doveva essere distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi e italiane un anno fa, ma a causa della pandemia l’uscita è stata rimandata al 14 maggio 2021 sulla piattaforma statunitense, che ha acquisito i diritti da 20th Century Studios. I motivi di richiamo sono molti, ma ci limiteremo a elencare quelli che riteniamo più significativi, a cominciare dal romanzo omonimo del quale il film in questione è la trasposizione. Trattasi dell’esordio dell’ex editor newyorkese A. J. Finn, un bestseller che ha raggiunto la fama internazionale, aggiudicandosi la traduzione in più di quaranta Paesi (in Italia edito da Mondadori nel 2018) dove ha venduto milioni di copie prima di diventare l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Joe Wright.
La donna alla finestra: la regia di Joe Wright e un cast stellare rappresentano delle valide attrattive
Proprio la regia del cineasta londinese rappresenta un’altra valida attrattiva, che si va a sommare alla presenza di un cast di all stars nel quale figurano tra gli Julianne Moore, Wyatt Russell, Gary Oldman, Anthony Mackie e Amy Adams. Ed è a quest’ultima che è stato affidato il complicatissimo ruolo della protagonista de La donna alla finestra, Anna Fox, un’affermata psicologa infantile di trentanove anni, auto-confinatasi tra le mura della sua imponente abitazione a più piani di New York, in seguito alla diagnosi di agorafobia. Lontana dal marito e dalla figlia, la donna trascorre le sue giornate al computer e con la compagnia di vecchi film, un calice di vino e le sue pillole, con un collega psicologo che le fa visita a domicilio periodicamente, un inquilino che vive al piano inferiore che le porta la spesa e una Reflex, che usa per spiare l’andirivieni dei suoi vicini, dalla finestra: loro sono il suo unico contatto con il mondo esterno e con la realtà. Tra questi ci sono i nuovi vicini di casa, i Russell da Boston, la classica famigliola modello che nasconde invece non pochi scheletri nell’armadio. Ma un giorno mentre li osserva dalla finestra scopre un terribile segreto: vede qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, che cambia per sempre la sua vita.
Rimandi sempre più espliciti al capolavoro del maestro del brivido alla lunga tolgono originalità al plot
Di cosa si tratti è facile intuirlo, ma non saremo noi a rivelarvelo. Quel qualcosa innesca una lotta della protagonista con i suoi fantasmi del passato, ma anche con il mondo che la circonda nel quale dovrà dimostrare che il crimine al quale ha assistito dall’altra parte della strada, attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, non era il frutto di una condizione psicologicamente instabile, ma la verità. Questo duplice confronto è stato la materia prima delle quattrocento pagine del libro e ora delle quasi due ore di timeline di un thriller dalle forti tinte hitchcockiane.
Del resto, già il titolo La donna alla finestra è un chiaro rimando a uno dei capolavori del maestro del brivido, quello stesso film che viene chiamato in causa in più di un’occasione con rimandi sempre più espliciti: dall’incipit in cui si vedono scorrere sul televisore in soggiorno delle immagini de La finestra sul cortile, al fatto che la protagonista per intrattenersi trascorra del tempo a spiare con una macchina fotografica gli abitanti del quartiere, per poi diventare suo malgrado la testimone oculare di un crimine. Somiglianze piuttosto palesi, per non dire spudorate, che a dire il vero tolgono non poca originalità al risultato finale. Il tutto si tramuta di conseguenza in una sorta di rivisitazione in chiave femminile dell’acclamata opera del 1954, con qualche rimando anche a Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, della quale sinceramente i lettori prima e gli spettatori poi avrebbero potuto tranquillamente fare a meno.
La fitta rete tessuta in fase di scrittura e nella messa in quadro di Wright si sfilaccia con troppa facilità
La donna alla finestra consegna al fruitore di turno un mistery dalle tinte rosso crime fin troppo derivativo, che fa moltissima fatica a distaccarsi dalle sue fonti d’ispirazione al fine di raggiungere una propria identità narrativa e drammaturgica. Della serie il gioco è bello finché dura poco. Il ché per quanto ci riguarda non depone a favore di un’operazione che ha anche i suoi punti di forza, come ad esempio la performance di una Adams che non perde mai occasione per mettere in mostra il suo incredibile talento, anche quando il progetto al quale ha preso parte e il personaggio che le è stato affidato vacillano o non sono alla sua altezza (per restare in orbita netflixiana vedi ad esempio Elegia americana).
La credibilità e la verità che riesce conferire al personaggio con la sua interpretazione per fortuna non va di pari passo con l’involuzione di una scrittura che perde pezzi strada facendo, vanificando nel finale un colpo di scena che poteva risollevare le sorti dell’operazione. Prima di quel momento si assiste a un racconto che depista come ogni buon thriller che si rispetti, spostando l’attenzione dal reale carnefice ad altri potenziali sospetti, quel tanto da arrivare persino a mettere in discussione la posizione della protagonista. Peccato che la fitta rete tessuta in fase di scrittura e nella messa in quadro di Wright si sfilacci con troppa facilità.