I Am All Girls: recensione del thriller sudafricano Netflix
La recensione del thriller sudafricano diretto da Donovan Marsh con Hlubi Mboya ed Erica Wessels. Tratto da eventi realmente accaduti, il film è stato rilasciato da Netflix il 14 maggio.
Tra le tante tipologie di film in uscita ogni mese su Netflix ce ne sono alcuni che si fanno portatori di tematiche estremamente sensibili e dal peso specifico rilevante. Motivo per cui vanno analizzati con una certa attenzione, messi sotto una lente e poi radiografati prima di essere giudicati. Decidere di trattare certe argomentazioni e potarle sullo schermo, grande o piccolo che sia, comporta una responsabilità enorme, a maggior ragione se la storia presa in carico e i suoi protagonisti non sono il frutto dell’immaginazione dello sceneggiatore di turno, bensì ispirati a eventi e persone realmente accaduti ed esistite.
I Am All Girls racconta del traffico di minorenni nel Sudafrica degli anni terribili dell’Apartheid
È il caso di I Am All Girls di Donovan Marsh, rilasciato sulla piattaforma a stelle e strisce lo scorso 14 maggio, che racconta del traffico di minorenni nel Sudafrica degli anni Ottanta, quelli terribili dell’Apartheid. Le vittime venivano vendute agli sceicchi iraniani, in cambio di petrolio, per aggirare le sanzioni. Una volta che gli uomini non le volevano più queste ragazze, venivano rispedite in patria e vendute in bordelli di bassissimo rango. Una vera e propria piaga che portò alla sparizione di centinaia di bambine, diventate “merce di scambio” nella tratta di essere umani sulla rotta con il Medio Oriente. Un traffico, questo, dietro il quale giravano ingenti interessi economici e politici, gli stessi presenti nel 1994, l’anno in cui a Johannesburg, un malavitoso della zona, Gert de Jager, rapì sei ragazze che non furono mai ritrovate. Dopo l’arresto l’uomo rilasciò una video-confessione nella quale indicava nomi e cognomi di coloro che, oltre a lui, facevano parte di un’organizzazione dedita al traffico di minorenni. In quella lista figuravano alti funzionari, il ché spinse il governo dell’epoca a secretare il video, rifiutandosi di renderlo pubblico. Pentito per ciò che aveva fatto, de Jager fu poi trovato morto nella sua cella il giorno dopo. Il ché lascia pensare che fu messo a tacere una volta per tutte.
Al centro di I Am All Girls c’è una tematica scottante e ancora di stretta attualità
Ecco perché nei confronti dell’ultima fatica dietro la macchina da presa del cineasta sudafricano, la sesta per la precisioni, l’attenzione doveva essere per forza di cose alta. Ciononostante sembra essere passato inosservato agli occhi degli abbonati al broadcaster statunitense, attirati con molta probabilità da titoli più blasonati usciti lo stesso giorno, a cominciare da La donna alla finestra di Joe Wright. La pellicola diretta da Marsh non è però sfuggito al nostro di radar, che lo abbiamo intercettato prontamente. Si tratta di una pellicola che meritava una visione, proprio per la tematica scottante e ancora di stretta attualità della quale si è fatta carico. Di minori spariti nel nulla ogni anni e alle diverse latitudini, infatti, se ne contano a migliaia. Tra queste anche le sei bambine che loro malgrado sono state al centro della vicenda narrata in I Am All Girls. Una però è riuscita a sopravvivere ai suoi aguzzini, tornando vent’anni dopo per vendicare se stessa e le sue compagne di sventura. Per farlo ha indossato i panni di una giustiziera della notte, eliminando uno alla volta tutti coloro che avevano preso parte al loro rapimento. Sulle sue tracce arriverà una detective della polizia, determinata con lei a fermare questo terribile ingranaggio.
Un poliziesco dalle tinte crime e mistery, che strada facendo assume sempre di più le vesti di un revenge-movie
I Am All Girls ricostruisce i fatti, ovviamente romanzandoli per esigenze cinematografiche. Il dramma di fondo va così a riversarsi in un poliziesco dalle tinte crime e mistery, che strada facendo assume sempre di più le vesti di un revenge-movie, con il suo carico di esecuzioni e sequenze d’azione al seguito. Proprio questa mutazione genetica, che ha virato il progetto verso una dimensione più di genere, ha per quanto ci riguarda mandato in tilt l’identità dell’opera. Sottraendolo alla sfera nativa del dramma, l’esito ha preso un’altra direzione, con la tematica principale che ha finito con il passare in secondo piano a favore delle dinamiche e degli stilemi tipici della classica storia di vendetta. Si assiste dunque al come la forma possa sovrastare i contenuti, depotenzializzandoli. Un equilibrio maggiore tra le due componenti avrebbe sicuramente permesso al film di raggiungere ben altri traguardi, quelli che purtroppo sono stati soffocati dalla confezione. Non sarebbe stata la prima volta che in un’opera dichiaratamente di genere venissero trattati temi delicati come questi.
Si avverte pertanto l’inconfondibile sapore dell’occasione persa, quella di un film che avrebbe potuto accendere ancora una volta i riflettori sull’argomento e nel suo piccolo smuovere un po’ le coscienze dello spettatore. Le emozioni forti e la durezza di certi momenti (vedi il ritrovamento delle bambine all’interno dei container) lasciano il segno, così come le interpretazioni delle due protagoniste, Hlubi Mboya ed Erica Wessels, ma purtroppo non sono sufficienti a riportare il tutto sulla retta via.
Il film è disponibile su Netflix dal 14 maggio 2021.