Cannes 2016 – Il Tuo Ultimo Sguardo: recensione del film di Sean Penn
Un amore impossibile sullo sfondo di un conflitto irrisolvibile: è il substrato su cui si fonda Il Tuo Ultimo Sguardo (trailer), il film diretto da Sean Penn in lizza per la Palma d’Oro a Cannes 2016.
Un melodramma nel dramma o dramma nel melodramma – a seconda del punto di vista da cui si decide di approcciarlo – che vede la splendida Charlize Theron nei panni della dottoressa Wren Patersen, responsabile di un’associazione umanitaria che si occupa delle vittime di guerra in Liberia.
La donna lotta contro se stessa per accettare l’irrealizzabilità di un amore basato su una determinante diversità di prospettive, quello che la lega al coraggioso ed impulsivo dottor Miguel Leon (Javier Bardem), medico missionario devoto e sensibile, il cui primario obiettivo è salvare vite, costi quel che costi e indipendentemente dalla situazione politica alle spalle del conflitto.
Wren, figlia di un compianto e valoroso medico a capo dell’associazione umanitaria, è invece un’idealista, non disposta ad accontentarsi della contingenza del suo lavoro ma determinata ad agire sul macrosistema per smantellare i meccanismi alla base della tragedia umanitaria e contribuire a creare un mondo migliore.
Il Tuo Ultimo Sguardo: uno Sean Penn che sembra giocare al piccolo regista
Il Tuo Ultimo Sguardo mostra la propria imbarazzante debolezza di fondo fin dalla scena di apertura stile “once upon a time”: una cartina dell’Africa e delle scritte in sovrimpressione ci comunicano che stiamo per assistere alla storia di un amore impossibile fra un uomo ed una donna. Pathos.
Dopodiché, una premessa (che se fosse stata solo premessa sarebbe anche risultata lirica) getta le basi della narrazione, presentandoci i protagonisti all’interno di lunghe sequenza silenziose, in cui a parlare sono solo le immagini e le musiche. Immagini peraltro molto belle e significative del popolo liberiano, piegato da una guerra che non guarda in faccia nessuno, i cui unici angeli custodi sono appunto i medici volontari, determinati a fare del loro meglio per salvare vite in condizioni impossibili.
Situazioni che non si possono dimenticare, una volta che si sono vissute, restando dentro il cuore e la responsabilità di uomini e donne la cui vita passa in secondo piano rispetto a quella delle popolazioni afflitte dalla più insensata piaga della società: quella che vede uomini uccidere altri uomini in nome di motivazioni aleatorie ed assurde.
Wren e Miguel si conoscono sul campo, ognuno impegnato ad approcciare la tragedia a suo modo; dopo pochi scambi di sguardi capiscono di essere fatti l’una per l’altro, dando vita ad una melodrammatica unione, fatta di frasi irripetibili e gesti di quotidiana sdolcinatezza, poco utili nell’economia della storia.
Il problema principale de Il Tuo Ultimo Sguardo è in effetti proprio questo: l’assenza di un asse narrativo portante che dia un senso all’inserimento di questa storia d’amore all’interno di una tematica di tragica attualità.
Un elemento che avrebbe potuto rendere attraente e ancor più comunicativo l’approccio documentaristico ad un tema così triste e complesso, ma qui gestito maldestramente a causa di una regia presuntuosa ed una sceneggiatura talmente improbabile da rendere comico il drammatico. L’ennesima manifestazione della recente tendenza a pontificare sui massimi sistemi di Sean Penn, che in The Last Face sembra perdere di vista il fatto che non si dovrebbero realizzare dei film per il semplice gusto di dare spazio e vita alle proprie elucubrazioni mentali da – pur rispettabilissimo – attivista.
E così fra scene che virano nella sceneggiata e risate strappate fra un’immagine tragica ed un’altra, questa prova da regista dalla quale ci si aspettava di più dopo il successo di Into The Wilde, risulta decisamente non superata, facendo affiorare numerose domande su come possa essere finito un film del genere in concorso a Cannes e respingendo il sospetto terrificante che cast, regista, budget, tema impegnato e coinvolgimento (inutile) di un grande come Hans Zimmer per le musiche (che comprendono ridondante e odioso ritorno didascalico di Otherside dei Red Hot Chili Peppers, resa addirittura orchestrale), possano portarlo dritto dritto alla notte degli Oscar. Zeus ce ne scampi e liberi.