Korea Film Fest 2021 – The Woman Who Ran: recensione del film di Hong Sang-soo
Il film di Hong Sang-soo è una conversazione in cui si esplorano volti, storie e spazi.
Una donna, Gam-hee, da sola, va ad incontrare delle amiche. Molte chiacchiere, confidenze, un po’ di cibo, un bicchiere di vino, una tazza di caffè, un piatto di mele tagliate. Queste sono le storie che racconta Hong Sang-soo nel suo The Woman Who Ran, vincitore alla Berlinale 70 dell’Orso d’oro, che partecipa al Korea Film Fest, dal 21 al 28 maggio 2021 – sezione Orizzonti Coreani. Una storia di donne che parlano di loro stesse, di uomini e di vita: il primo incontro di Gam-hee è con Young-soon, divorziata di recente, il secondo è con Su-young, insegnante di pilates da poco trasferitasi in un nuovo appartamento, il terzo è quello con Woo-jin, che ha delle scuse da offrire a Gam-hee.
The Woman Who Ran: una donna e le sue amiche
La protagonista Gam-hee di The Woman Who Ran, interpretata da Kim Minhee, mentre il marito è impegnato in un viaggio di lavoro – è questa la prima volta in cui i due sono lontani dopo parecchi anni di matrimonio -, decide di incontrare tre amiche per ricordare, per passare il tempo, per ritrovarsi forse. Ognuno degli incontri dà forma al film come se fossero capitoli di un libro sull’essere donna, sul rapporto con l’altro, sull’identità e su quanto l’amicizia femminile voglia dire sorellanza, amicizia, intimità. L’opera si forma di minuto in minuto tra la familiarità tra le amiche e la sorpresa di rivedersi, tra il bilancio con sé stesse e la rimettere tutto in gioco perché parlarsi e raccontarsi vuol dire anche capire meglio chi si è, cosa si vuole e cosa non si vuole. Hong Sang-soo con The Woman Who Ran scrive un altro poema di intrusi ed esclusi, di intrusioni ed esclusioni. Gam-hee stessa è un’intrusa nella normalità di quelle case, come sono intrusi gli uomini nelle parole di queste donne – non sono più soggetti ma diventano oggetti dei loro discorsi, delle loro tesi – e quelli che suonano alla porta rompendo un cerchio di armonia che scuote gli equilibri. Intruso è anche il mondo esterno: i vicini ad esempio sono mondi estranei con cui le donne si interfacciano scontrandosi – pensiamo all’amica di Young-soon che litiga con il vicino per i gatti a cui danno da mangiare; discorso che diventa metaforica dissertazione su uomo e animale – e incontrandosi – il rapporto intenso tra Young-soon e la figlia degli altri vicini, problematica anche per la scomparsa di sua madre.
I personaggi femminili durante questi incontri devono superare se stesse, il proprio passato per diventare ciò che vogliono nel futuro, facendo dei piccoli atti rivoluzionari che le renderanno donne più consapevoli. Sang-soo porta sullo schermo dialoghi sussurrati, “soffusi”, teneri e amorosi tra donne che si conoscono, pronte ad accogliere, abbracciare, a non giudicare mai.
The Woman Who Ran: un film prezioso di silenzio e parole
The Woman Who Ran è un film piccolo e silenzioso, prezioso e delicato, intimo e familiare. Anche in questa storia del regista si beve alcol, si mangia e così cadono le barriere, così si ricrea il rapporto di una volta. La protagonista, con un nuovo taglio di capelli, porta da Young-soon appena divorziata (Sei Young-hwa), carne e buon alcol per la grigliata, quando va a trovare Su-young (Song Seon-mi) beve un bicchiere di vino bianco e con Woo-jin (Kim Sae-byuk) beve un caffè. Quello che è certo è che The Woman Who Ran è un film su una donna che vuole riappropriarsi di ciò che ha perso: il suo tempo e i suoi spazi. Gam-hee e le altre parlano delle proprie storie, dei propri errori, degli uomini sbagliati, con cui il rapporto spesso è stanco e asfittico, passionale ma di una notte e basta. Mentre si raccontano appare chiaro che probabilmente tutto è più facile quando sono da sole, senza questi personaggi maschili stanno meglio.
The Woman Who Ran: una conversazione in cui si esplorano volti, storie e spazi
Le conversazioni, in quelle case belle e minimali, chiuse in loro stesse come le protagoniste, si annodano di fronte allo spettatore, i rapporti tra Gam-hee e le altre si stringono in una corrispondenza di amorosi sensi. Di minuto in minuto, d’incontro in incontro ci si chiede quali siano i motivi delle visite della donna, c’è qualcosa in lei che non torna, c’è un mistero che è nascosto sotto la pelle. Sang-soo gioca con i silenzi, con le pause, con la costruzione stessa del film: la camera fissa ci mostra le donne parlare, mangiare, bere, appassionarsi l’una alla vita dell’altra – il lavoro, le relazioni, gli amanti, il matrimonio -, eppure il suo sguardo riesce a muoversi sia esplorando gli spazi del/con il dialogo sia sottolineando qualcosa con lo zoom.
Il regista è capace di dare la sensazione dell’attesa: qualcosa sta per accadere, qualcosa del passato bussa, da fuori. Nelle piccole-grandi storie c’è sempre un elemento, un vicino, i gatti, un amante ossessivo, qualcuno da fuori, che vuole entrare nel mondo antico e tenta di farsi strada tra le pieghe. Le tre narrazioni unite dalla protagonista che tiene tutto insieme si mostrano a noi; colpisce l’eleganza con cui si narra la rottura che è presente nella vita di ognuno, e colpisce la meravigliosa apertura con cui i personaggi si rivelano, mantenendo però un sottile mistero che resta nascosto tra le finestre di queste case (la relazione tra le due amiche che vivono insieme; un sistema di videosorveglianza trasmette a una televisione a circuito chiuso tutto quel che accade all’esterno della casa).
The Woman Who Ran: una fotografia delicata dell’essere donne
The Woman Who Ran è un’opera serena e intima, è una porta aperta su una fotografia delicata e sensibile in cui eroicamente queste donne compiono azioni quotidiane che appaiono quasi straordinarie: mangiano, chiacchierano, guardano, esistono. La sensazione di questa poesia scritta sulle donne è quella della protagonista che assiste al cinema ad uno spettacolo e come lei anche noi spettatori ritroviamo il nostro centro, ci riappacifichiamo con il mondo e ci ritroviamo.