Il quaderno nero dell’amore: recensione del film di Marilù S. Manzini
Marilù S. Manzini, alla sua opera prima, adatta per lo schermo il suo romanzo Il quaderno nero dell'amore, traducendolo in un film che mal si adatta alle regole del suo nuovo format.
È il 2006 quando Il quaderno nero dell’amore arriva nelle librerie italiane (edito Rizzoli), romanzo a tinte rosse (e nere) di Marilù S. Manzini. Il disegno di un viaggio nella mente e nell’anima di tre giovani tormentati, impegnati in un gioco di specchi nel quale si guardano a vicenda attraverso vizi, peccati e ossessioni, figli prediletti di paure e insicurezze.
Quattordici anni dopo l’autrice, aiutata dalle penne di Luca Biglione e Francesca Demichelis, traduce il romanzo in un film, reclutando, per il ruolo dei protagonisti, Emilia Verginelli, Michele Cesari e Martina Palmitesta.
Racconto vissuto in pericoloso bilico tra erotismo ed evocata pornografia, giocato sulla volontà di sconvolgere, abbattere i tabù ed assolvere anche lo spettatore più combattuto. Eppure non disdegnante una lettura dell’anima perpetrata attraverso la ricerca di un amore salvifico, da scovare tra le pieghe di mille lenzuola, l’incontro di mille corpi e il nero della solitudine. Il suo peccato principale sta nella resa filmica immatura, in una cervelloticità discorsiva forse superflua, se paragonata al contenuto effettivo dello svolgimento tematico, e in una volgarità borderline, come la natura del film esige, ma a volte fuori contesto.
Il quaderno nero dell’amore è distribuito da Europictures. In sala dal 27 maggio 2021.
La trama di Il quaderno nero dell’amore
Mavi è una designer di interni con una importante vena artistica, ma è anche una viziosa, un’immorale e, soprattutto, una collezionista. Di odori ed emozioni. Lei è l’inventrice del gioco in cui deciderà di coinvolgere i suoi due migliori amici, Paola e Riccardo.
Un gioco che nasce con l’idea di annotare in un quaderno la vita sessuale ed emotiva di ognuno di loro e che ben presto si tramuterà in un portale condiviso alla scoperta dell’inconscio di ognuno di loro, ugualmente provato da una storia personale delicata, ma non ancora senza speranza.
Paola è un’aspirante attrice, da sempre all’interno dei circuiti periferici dello star system, la zona più crudele e spietata, affamata delle aspirazioni di chiunque ne rimanga impantanato e che trova nel sesso l’unica zona di (apparente) comfort in cui può avere un ruolo. Lo stesso (apparente) comfort che trova Riccardo, cinico amatore seriale, giovane e ricco ereditiere, proprietario del locale più cool della città, alla costante ricerca dell’approvazione di chi lo ha cresciuto e di una storia d’amore che lo accolga, senza riserve.
In una continuo ping pong tra dimensione letteraria e realtà osserviamo le tre vite dei ragazzi prendere forma, affezionarsi e dedicarsi al quaderno, arrivando a riversandoci ben presto i propri desideri più folli e inconfessabili, le reminiscenze più profonde, i momenti di buio e di completa lucidità, fino alle speranze per un futuro diverso.
Dal libro al film
Il quaderno nero dell’amore pesca il suo immaginario da una letteratura basata su un continuo gioco tra eros e thanatos, processando un percorso psicanalitico, esistenziale e, azzardando, generazionale, passando per la porta del sesso. Il grande rivelatore della natura umana.
La Manzini confeziona un film desiderato e amato, impegnandosi, evidentemente, a portare sullo schermo lo spirito del romanzo e la sua struttura narrativa, concepita per spiazzare lo spettatore, per immergerlo nel racconto, togliendogli tutti i punti di riferimento, prima spaziali e poi temporali. La scenografia concorre a dare delle indicazioni, ma la costruzione della pellicola rimane volutamente frammentata, principalmente costruita per interni a sfondo nero, con l’alternanza di scene in cui si illustrano le regole del gioco e riprese dall’alto di una città mai nominata. Il filo rosso sta nella terapia di Mavi, la quale concede un respiro ad un altrimenti continuo ripetersi di scene dal forte contenuto sessuale in cui i tre protagonisti si alternano.
I difetti del film stanno principalmente nella trasposizione. Come rimasta sospesa durante il percorso, ancora troppo ancorata ad una dimensione più teatrale che filmica, soprattutto per la regia e per una fotografia sempre monopasso. Una scelta, sicuramente, ma che contribuisce ad uno sfilacciamento che piano piano purtroppo si fa strada durante lo scorrere del minutaggio, “aiutato” da una sceneggiatura molto fitta, complessa nella sua visione d’insieme e sovraccarica in alcuni dialoghi. Ne fanno le spese principalmente i personaggi, che da tre diventano due più una, e con i quali si fa fatica ad empatizzare a lungo andare, nonostante le prove attoriali, dedite e appassionate, ma che danno l’impressione, a loro volta, di accusare la grande mole di scrittura.
Il quaderno nero dell’amore della Manzini rimane un animale strano, ricco di spunti e dall’estetica inusuale, ma che fatica a mettere in ordine le sue idee per lo spettatore, che rimane invischiato nello scorrere delle pagine, come i tre protagonisti, in attesa di una risoluzione.