Carnaval: recensione del film Netflix di Leandro Neri
Nella scelta (costretta) di dare al film una cornice moralista sui pericoli della cultura da social, Carnaval non è mai trasgressivo fino in fondo e finisce per autodistruggere il suo potenziale estremo e deliberatamente estroso. Dal 2 giugno su Netflix.
L’amore muoverà anche il mondo, ma a spostare pianeti interi è piuttosto il tradimento. Soprattutto per una nota influencer da 327 mila follower e una reputazione da mantenere, le corna, palesate dall’ormai ex in un video virale, possono far crollare il proprio castello patinato pazientemente edificato a colpi di like. Peggio ancora se da quel video ne nascono altri attorno con soggetto la diretta interessata, derisa e schernita da leoni da tastiera tanto da farla diventare vero e proprio meme da rimbalzare qua e là nelle app. Nulla di sociale o culturale però, stavolta le conseguenze di Facebook e Instagram non assumono alcuna copertina investigativa o culturale, perché l’aria che si respira in Carnaval è di pura baldoria glitterata. O almeno così vorremmo che fosse.
Carnaval: il film di Leandro Neri tra Girls Trip e Ingrid Goes West
Ultimo di una carriera iniziata nel ’92 e proseguita con numerose serie tv da oltre 100 episodi, il regista brasiliano Leandro Neri dirige il suo personale divertissement carioca a metà fra Girls Trip e il graffiante Ingrid Goes West, raccontando i vibranti giorni del carnevale di Salvador De Bahia e costruendo attorno alle potenzialità coinvolgenti dell’evento annuale un messaggio social e celebrity culture trascinato maldestramente lungo il film – come se a quell’ultra leggerezza centrale avesse voluto dare per forza una cornice di spessore morale. Ma non ce n’era davvero bisogno.
Carnaval infatti sarebbe potuto essere un film vero e proprio anche solo raccontando sfacciatamente e senza alcuna deriva moralistica un gruppo di amiche in viaggio a Salvador, a godere della propria libertà, spensieratezza anagrafica e voglia di scoprirsi, con lo sguardo rivolto verso corpi aitanti maschili e coscienti del proprio desiderio. Il film Netflix invece, partendo da un viaggio gratis offerto all’influencer Nina (Giovana Cordiero), intenzionata a raggiungere il milione di seguaci, sembra non aver chiare le idee su quale tragitto far viaggiare il proprio treno, alternando in un continuo ping pong sequenze folkloristiche, delirio notturno e party a bordo piscina tra corpi prestanti, glutei scolpiti e addominali invidiabili.
Corpi esibiti e fatiche da influencer in un film che osa solo in parte
Non è un caso, infatti, che un’operazione del genere provenga proprio da una nazione considerata pioniere della chirurgia estetica, in cui il diritto alla bellezza è tanto imprescindibile quanto quella alla salute, e dove ogni anno anche le classi medie e medio basse ricorrono alla chirurgia supportata dalla sanità pubblica. In Carnaval però, l’estetica e la bellezza viene sia artificiosamente criticata che esaltata nella sua continua sbirciata sui corpi; mescolando sacro e profano, tradizione e tecnologie, superflue introspezioni e inutili riflessioni sul concetto di amicizia in carne ed ossa, contro quella inutile e priva di autentica affettuosità della curva dei follower.
Così facendo, il film di Neri purtroppo non è mai trasgressivo fino in fondo, incagliandosi in uno svolgimento fine a sé stesso e un tragitto personale incentrato sulla protagonista Nina che ci lascia perplessi fino all’ultimo e per di più con un arco narrativo sterile: riconquista l’affetto delle sue tre amiche Mayra (Bruna Inocencio), Michelle (Gessica Kayane) e Vivi (Samya Pascotto) perse nella baraonda e nella sua attenzione rivolta principalmente ad altre figure social sfruttate a scopo di like, ma nel frattempo si bea dell’aver finalmente raggiunto il milione di follower.
Allora, da tutto questo caos di messaggi contraddittori e imbrigliati in sé stessi, si rimane con molti dubbi e una certezza: Carnaval, messa da parte la blanda critica alla futilità del mondo visto tramite uno schermo, è (dopotutto) un film ludico, variopinto e spudorato proprio nella scelta di trasportarci per solo un ora e mezza nella ludica, variopinta e spudorata folla umana delle strade di Bahia, compiaciuta (almeno per quelle notti) del loro twerking a suon di raggaeton. Per godere, finalmente, della sacrosanta voglia di divertirsi.