Feel Good – Stagione 2: recensione della serie tv Netflix
La recensione della seconda e conclusiva stagione di Feel Good, la commedia drammatica queer di e con Mae Martin.
C’erano molti dubbi ma per fortuna Mae Martin è tornata con la seconda stagione di Feel Good. In questa seconda parte completa – che conclude anche la serie Netflix, dal momento che non avremo una nuova stagione – si prosegue il percorso iniziato un anno fa sulla relazione tra Mae e George, che ci aveva portato all’interno di una dramedy sorprendente, efficace e coinvolgente.
Con questi ulteriori sei episodi la storia riprende il filo da dove l’avevamo lasciata e va ad approfondire la relazione tra le due giovani donne e tutto il contesto che gravita attorno a loro, ampliando anche il suo discorso sull’identità di genere e la ricerca del proprio equilibrio interiore. Data la dimensione indie dello show, c’era il fondato timore che Netflix non concedesse alla serie, ideata dalla stessa Mae Martin assieme a Joe Hampson, di proseguire con una seconda stagione. Invece, con grande soddisfazione per coloro che hanno adorato la prima parte – un vero e proprio gioiellino – è stata commissionata la creazione dei sei episodi, che concludono la vicenda della singolare stand-up comedian, fornendoci le risposte necessarie e il compimento di un tragitto durante il quale ci siamo immersi – tra sorrisi e commozione – nei problemi, nei sentimenti, nei traumi e nelle disavventura di Mae e di tutto lo strampalato universo che ruota attorno a lei.
Feel Good 2 riesce ad andare ancora più in profondità della prima stagione
Questa seconda stagione riesce a condensare sorprendentemente in sei brevi episodi tutti i contenuti necessari al successo della serie, tessendo e riannodando i fili in maniera coerente e convincente. Confermando lo stile della prima parte, la creazione di Mae Martin scorre in maniera leggera e piacevole riempiendosi al contempo di una formidabile densità. Ci conduce in un viaggio fatto di emozioni differenti, un’altalena di sensazioni interiori che scava in profondità, ben oltre le gag che ci fanno ridere tra un episodio e l’altro. C’è un’essenza vitale molto significativa e, se possibile, troviamo in questa stagione una forza ancor più dirompente, una capacità energica di addentrarsi nell’animo umano e di toccare con delicatezza e col giusto piglio questioni di un certo spessore. La riflessione sull’identità di genere della protagonista e quella sulla sessualità di George si strutturano ulteriormente, così come quella legata alla capacità di gestire rapporti e relazioni, superando disturbi e dipendenze, al cui fianco vanno a completare il quadro i temi delle interazioni familiari e delle soddisfazioni e ambizioni personali nell’ambito professionale. Tutti questi elementi sono uniti in un lavoro armonico e senza sbavature, depurati dal rischio di fronzoli ridondanti, con un’essenzialità narrativa di forte efficacia, mentre l’orizzonte del racconto si amplia senza mai perdere l’orientamento e la solidità.
Feel Good 2 su una brillante sceneggiatura che fa ridere ed emozionare
Le due protagoniste principali sono nuovamente pressoché perfette nel delineare i loro personaggi e la Martin riesce ad andare sempre più a fondo nell’introspezione e nei lati complessi del suo alter-ego televisivo. Così anche Charlotte Ritchie dona ulteriore complessità alla sua George, che in questa seconda stagione assume un maggiore peso e una marcata centralità nella narrazione. Al loro fianco è comunque tutto il cast a riconfermarsi in palla, comprese le new entries che vanno a completare il quadro della storia, come Jordan Stephens nei panni di Elliot, il nuovo temporaneo interesse amoroso di George, e John Ross Bowie in quelli di Scott, l’amico-compagno del passato di Mae, a cui per altro è legata fortemente la risoluzione della condizione instabile della protagonista. Sono poi utilizzati in maniera efficace anche gli altri personaggi di contorno, in primis Phil, che in questa seconda stagione trova una dimensione completa e trasmette un’empatia particolare, così come sono perfettamente funzionali alla definizione di risvolti e contrasti narrativi i genitori di Mae, lasciati un po’ in secondo piano, ma le cui incursioni donano sempre brio al racconto. Il tutto grazie ad una scrittura ispiratissima e ancor più solida, tratteggiando caratteri e situazioni con rara brillantezza. È una stagione coraggiosa e determinata, in cui la complessità aumenta, ma viene sempre mantenuto il divertimento, condito da momenti che toccano il cuore e fanno emozionare.
La serie Netflix di Mae Martin unisce dolcezza ed irriverenza in un lavoro denso e ottimamente costruito
Feel Good riesce ad essere costantemente sincera e onesta, richiamandoci a sentimenti veri e genuini, pur nei suoi accadimenti bizzarri e fuori dagli schemi. È quasi una situazione ossimorica, ma straordinariamente efficace, che conferma la serie come una vera e propria boccata d’aria fresca. Dissacrante e poetica al tempo stesso, irriverente e dolce, drammatica e comica, surreale e reale, l’opera di Mae Martin colpisce e rapisce, trasmette insieme benessere e malinconia, fa ridere e fa riflettere come la migliore arte cinematografica. E riesce a fare tutto ciò con sorprendente semplicità, prendendoci per mano ed accompagnandoci in un viaggio che arriva ad una meta conclusiva, forse non del tutto risolutiva, ma coerente e piena di significato.
Mentre complica le storie e le prospettive dei suoi personaggi, sovvertendo aspettative e schemi narrativi, ci immerge in un percorso dove spinte propulsive volte sia alla realizzazione sia all’autodistruzione delle protagoniste, vanno a lavorare su dipendenze, sessualità, disturbi relazionali e mentali e paranoie, componendo una commedia drammatica di gran cuore, intensamente naturale, piena di meraviglia, dolcezza ed empatia, in tutto il suo substrato di stranezza. Poteva essere concesso più tempo a Feel Good per sviscerare le tante cose che aveva da dire, ma siamo grati al fatto che ci sia stata una seconda stagione, ancora migliore della prima, in tutta la sua intelligenza e sfrontatezza, in tutto il suo tenero ed eccentrico romanticismo.