The Handmaid’s Tale – Stagione 4: la recensione della serie Hulu su TIMVision
Alla sua quarta stagione, The Handmaid's Tale compie il salto definitivo nella caratterizzazione della sua protagonista, regalando l'atto anticipatore di un finale che si preannuncia violento come non mai.
La serie Hulu ideata da Bruce Miller e tratta dal Racconto dell’ancella di Margaret Atwood ne ha fatta molta di strada, ampliando l’universo del romanzo a dismisura, pur riuscendo a mantenersi sempre fedele al cuore pulsante della narrazione.
La quarta stagione di The Handmaid’s Tale mette un tassello fondamentale nell’evoluzione di June, da tempo passata dalla sopravvivenza al combattimento contro Gilead, prima da sola e poi insieme al MayDay. Questo nuovo atto è incentrato su una traversata definitiva, a lungo sperata dagli spettatori e di cui la serie aveva un disperato bisogno per non rischiare di incartarsi su se stessa. Essa è raccontata attraverso una rabbia inesorabile di una messia vendicativa, che tutto muove, che tutti coinvolge e che rischia, tutti, di travolgere.
Un compimento non solo di June, ma anche di Elisabeth Moss, che firma la regia di due tra i migliori episodi della stagione, oltre a regalare l’ennesima ottima prova di attrice, un tutt’uno con il personaggio che interpreta.
The Handmaid’s Tale – stagione 4: il cammino per la Terra Promessa
Ormai da tempo abbiamo chiaro come June Osborn sia essa stessa diventata una figlia di Gilead, al pari (se non di più) dei tanto odiati coniugi Waterford o di zia Lydia. Nella sua metamorfosi avvenuta durante gli episodi di The Handmaid’s Tale ha trovato la forza per sopravvivere, di andare avanti, di guidare le sue compagne Ancelle e di piegare la volontà anche di uomini intelligenti, come il Comandante Joseph.
Una creatura nuova, instancabile e implacabile. Odio, sangue e rabbia. Una santa distorta, temprata dalle sofferenze, unica in grado di liberare il suo popolo da un mondo oscuro da cui lei è la prima a non riuscire più a staccarsi, se non tramite la promessa di una luce di redenzione. Sua figlia Hannah, nella cui disperata ricerca si cela il bisogno di trovare la vecchia June, la moglie del suo amato Luke, l’amica e la madre.
All’indomani del salvataggio dei bambini, compiuto grazie alla collaborazione con il MayDay, la donna trova un rifugio temporaneo (dove facciamo la conoscenza di Mckenna Grace, bravissima e giovanissima, hello there), per poi rifarsi un giretto nei meandri più oscuri e profondi dell’inferno. Una prigione teatro di uno spettacolo di mefistofelico ingegno, con tanto di demonietto divertito, sadico e sarcastico. Qui la nostra è chiamata ad una nuova prova, l’ennesima, per lottare per la sua vita e per continuare la ricerca (o la lotta). Ma indovinate cosa si cela, sepolta, lì sotto?
La luce, non in fondo al tunnel, ma in fondo al pozzo. Nel luogo più tenebroso il bagliore più accecante, ma al cui cospetto, June non viene riconosciuta. Ormai diventata un’ombra, quasi priva dell’umanità che aveva, l’Ancella trova il suo secondo battesimo nel rifiuto subito dalla cosa con cui ha sempre desiderato ricongiungersi, ma a cui, ora, può incutere solo timore.
Avvitata nella fase definitiva della sua trasformazione, la donna riemerge dall’inferno. Priva di luce. E priva di luce arriva nella Terra Promessa, una landa a lei ormai estranea, con i cui abitanti non è più in grado di parlare, di cui non riconosce più lingua, per quanto li ami o per quanto desideri farlo. Il conforto gli viene incontro solo tramite i fantasmi provenienti dal suo stesso inferno, che sia per l’odio che prova per loro e per la rabbia con la quale vorrebbe stroncarli.
Un messia donna, rossa, come il vestito che porta. Per quanto possa rifiutarlo, il solo abito che indossa.
Fiumi di latte e miele
La quarta stagione di The Handmaid’s Tale completa il percorso da antieroina di June, conservando il linguaggio cadenzato, lento e, a volte, anche pesantemente mono passo delle stagioni precedenti. Così racconta anche il tanto atteso passaggio dall’altra parte, a cui hanno fatto da ambasciatori i coniugi Waterford e che ora compie anche la protagonista.
La serie ancora una volta dimostra di avere una solida idea d’insieme così come di linguaggio, sia a livello visivo che di scrittura, a cui rimane fedelissima, anche nelle puntate dirette dalla Moss.
Le inquadrature strette, i colori sempre sfocati, i primi piani ripetuti, l’importanza ai gesti, agli sguardi e ai respiri, sono ancora il territorio preferito di una serie che parla con le emozioni, eleggendo la rabbia a prima tra tutte, pur conservando la capacità di dar vita a spaccati dolci e malinconici. Più che altro destinati ai co-protagonisti, come Janine, che arriva a maturazione, zia Lydia, il comandante Joseph (Dio benedica sempre Bradley Whitford), Moira, Nick, il più umano abitante dell’inferno, e persino Serena.
La Terra Promessa raccontata nella quarta stagione di The Handmaid’s Tale si dimostra, come prevedibile, un altro Stato viziato da logiche di potere e politiche economiche, abitato da figure spezzate e “uomini deboli”, come il resto del mondo.
Qui June trova il modo di arrivare allo scontro con i Waterford, a processo per le loro azioni compiute a Gilead, nel quale riemergono tutte le logiche che hanno mosso l’immaginario dello spettatore nelle prime stagioni: la maternità, i mille paradossi tra la visione della donna e il suo reale potere e la distorsione degli insegnamenti della religione cattolica. Qui avviene la trasformazione definitiva e risolutiva della protagonista, proprio in presenza di colui che, per primo, la iniziò.
Dove scorrono latte e miele, l’Ancella non trova di che dissetarsi, in preda ad una collerica voglia di vendetta che nessun nutrimento, nessuna terra, nessuna casa e nessun uomo può appagare.
Da goccia ora lei è divenuta fiume. Rosso, vermiglione, più che di latte e miele, pronto ad invadere l’inferno.
The Handmaid’s Tale 4 è disponibile ondemand su TIMVision.