Songbird: recensione del film apocalittico di Adam Mason sul COVID-23
Premesse deboli e svolgimento svogliato vanno a caratterizzare un film discontinuo e dal montaggio da rivedere.
Songbird rimane ancorato ad un’idea di futuro distopico distruttivo che riesce ad attirare subito l’attenzione di Micheal Bay, al timone della produzione sotto la casa Platinum Dunes. Adam Mason (Blood River, The Devil’s Chair), scrive e dirige una pandemia che si distende fino al 2024: il virus continua a mutare e ora è chiamato COVID-23. Nico (KJ Apa), il miglior corriere di Los Angeles, e Sara (Sofia Carson), costretta a seguire le misure di confinamento imposte nello Stato, formano una coppia separata che dipende fortemente dalla tragica situazione che si consuma fino ad insinuarsi nell’abitazione di Sara. Nel tentativo di salvare la sua amata, Nico dovrà rimediare dei braccialetti speciali che indicano lo stato di immunità, in una missione rischiosa sullo sfondo di quartieri estremamente sorvegliati dal Dipartimento di Sanificazione, gestito dal Dott. Emmett Harland (Peter Stormare). Songbird è nelle sale italiane dal 30 Giugno 2021, distribuito da Notorious Pictures in Italia e da STX Films nel resto del mondo.
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I personaggi in Songbird
Una Los Angeles deserta, desolata e abbattuta moralmente: ogni abitante si ritrova in un lockdown interminabile, senza più possibilità di ottenere aggiornamenti su potenziali cure. In Songbird si presenta uno scenario caotico anche nella gestione dei personaggi, relegando lo svolgimento di una trama frammentaria a mera spinta per richiamare sull’attenti delle personalità vincenti sulla carta (nel cast troviamo anche Alexandra Daddario, Richard Jenkins e Demi Moore). Vite apparentemente sconnesse fra loro, confinate nelle abitazioni e con un protagonista che deve effettuare diverse consegne nel tempo stabilito. Realizzando il film in piena pandemia negli Stati Uniti, durante l’estate dello scorso anno, si nota la frettolosità delle meccaniche narrative e della caratterizzazione inesistente per quasi la totalità del girato.
Pedine sparse sul tavolo da gioco di un contesto apocalittico estremizzato dove il COVID-23, l’ultima variante che minaccia di mettere sotto scacco l’umanità così come la conosciamo, diventa un villain manipolatore che modifica drasticamente la moralità dei suoi interpreti. La sola idea non basta per descrivere l’azione che si consuma in Songbird: lo spettatore viene guidato con una mano fin troppo sciolta dietro la cabina di regia, preferendo procedere per inerzia oltre i confini delimitati dalle forze dell’ordine e da membri chiave della sicurezza nazionale rispetto alla coralità sentita e da evidenziare per un maggior impatto drammatico. Si riesce ad intravedere purtroppo l’inesperienza di Adam Mason, che si affida ad una miriade di riprese effettuate da videocamere Go Pro e controllate da un montaggio scattante e confusionario.
Le incessanti musiche di Lorne Balfe animano il film
Amori infranti, famiglie spezzate, dottori incapaci di correggere l’assetto di un mondo alla deriva e nuovi modi per intrattenere un pubblico destinato a non osservare la luce del sole dall’esterno. Episodi che vengono descritti e mai approfonditi con una penna più articolata, decisa invece a generare una girandola di sequenze alimentate dal dinamismo improvviso e mal posto. Songbird carica a fuoco lento una componente thriller nell’atto iniziale per poi presentarla già indebolita e spogliata di ogni possibile critica e satira di contorno. Avviene solo un inseguimento continuo fra i classici buoni dall’animo puro e i prigionieri di un contesto sociopolitico impazzito, che domina sulla psiche e sulla loro bussola morale latente. Una dinamica che non va mai ad imbattersi in svolte degne di nota, perché concentrata a scolpire il fisico di attori alla mercé di una storia raffazzonata e per nulla invitante sotto il profilo dell’intrattenimento.
Il netto contrasto fra comparto tecnico instabile e le musiche trascinanti del veterano Lorne Balfe (Mission Impossible: Fallout, Ad Astra) è evidente sin dalle prime sequenze introduttive, che si impegnano in pochi minuti a consegnarci una scorta illimitata di cliché dal sapore avariato (compresi spalle comiche dell’eroe che appaiono senza preavviso e una breve parentesi riservata ad un veterano di guerra ritrovatosi in confini invisibili). Due percorsi paralleli che non si decidono ad intrecciarsi; il crescendo epico di sottofondo contribuisce solamente a compromettere ancora di più una messinscena frettolosa e forse anche un po’ inopportuna per la situazione pandemica che si sta vivendo attualmente.
In conclusione, Songbird si rivela essere una pellicola macchinosa e superficiale.