Giovanni Esposito: “Nei personaggi cerco sempre una tela da esplorare”
Ospite della tappa di Fasano della 18esima edizione del Sa.Fi.Ter, dove ha accompagnato la proiezione di Anime borboniche, Giovanni Esposito ci ha raccontato e si è raccontato dagli esordi sino ai prossimi impegni.
Tra gli ospiti dell’ultima tappa della 18esima edizione del Sa.Fi.Ter, la kermesse itinerante pugliese ideata e diretta da Romeo Conte, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Giovanni Esposito, attore partenopeo che ha fatto della versatile e della sua poliedrica capacità di mimesi i suoi punti di forza. Lo abbiamo incontrato poco prima della proiezione serale di Anime borboniche nell’arena a cielo aperto allestita nella storica location della Casina Municipale di Selva di Fasano. Abbiamo approfittato per parlare delle sue numerose esperienze tra cinema, tv e teatro, ma anche dei suoi tanti e numerosi impegni futuri.
La nostra intervista all’eclettico attore Giovanni Esposito
C’è un momento preciso in cui hai capito che recitare sarebbe diventato il tuo mestiere?
“Il mio percorso di attore è cominciato piuttosto tardi. E a dire il vero non è un mestiere che ho scelto io. Quando avevo 21 anni organizzavo il cartellone teatrale per una parrocchia al fine di raccogliere dei fondi. Per i miei genitori avevo un talento e mi suggerirono di coltivarlo, magari andando a studiare in qualche accademia. All’inizio ero molto scettico e anche dopo il primo anno di contratto allo Stabile di Parma, ho continuato a vederla ancora come un’attività precaria che sarebbe potuta finire da un momento all’altro. Nel frattempo passavano gli anni e continuavo ad accumulare esperienze che mi formavano sempre di più. Quindi ho proseguito per inerzia, con il lavoro che mi precedeva e io che gli andavo dietro”.
Quando l’inerzia ha lasciato spazio alla consapevolezza?
“Un primo switch c’è stato con un testo teatrale che Renato Carpentieri mi fece interpretare. Si trattava di un adattamento del romanzo di Elio Vittorini, Il Sempione strizza l’occhio al Frejus, nel quale vestivo i panni di Muso-di-fumo, un personaggio ricco di sfaccettature e di registri che mi ha aperto gli occhi rispetto alle mie potenzialità. Poi un ulteriore conferma è arrivata nel 2003 con il film di Vincenzo Terracciano, Ribelli per caso, grazie a un ruolo più completo che mi ha dato una maggiore consapevolezza dei miei mezzi. Ciononostante penso che ne debba arrivare ancora un altro, quello in cui il pubblico e gli addetti ai lavori si possano accorgere che dentro ho un mondo inesplorato tutto da scoprire.
Solitamente gli attori il più delle volte si trovano a condensare una gamma emotiva relativamente grande in un arco ristretto. In tal senso, penso che nella mia carriera non ci sia stato ancora un personaggio in grado di fare esplodere tutta una serie di cose. Per cui lo switch completo non c’è ancora stato, anche se ho la sensazione di esserci vicino. Ma non sto parlando di popolarità, piuttosto di quella cosa che avviene con le persone che ti guardano e quello sguardo è come se fosse uno specchio che ti fa capire che stai trasmettendo loro tutta una gamma di emozioni e di sfumature”.
Giovanni Esposito: “a teatro c’è la possibilità di esprimersi sotto diverse forme che al cinema o in televisione invece non sono sempre concesse”
Hai percepito negli anni un tentativo da parte degli addetti ai lavori di ingabbiarti in un dato personaggio o genere?
“C’è sicuramente un sistema che tende a farlo, ma poi sta a te attore convincerlo del contrario. Non è semplice, perché per i registi e i produttori è più facile puntare su dei colori con i quali hai già avuto modo di confrontarti, senza tenere conto che invece ce ne sono altrettanti nascosti che possono permetterti di tirare fuori corde nuove e diverse. Probabilmente c’è stato un tentativo di ingabbiamento, che non penso però sia arrivato a compimento visto il ventaglio di personaggi che mi sono stati affidati in questi anni. Per esempio Vincenzo Terracciano è uno di quei registi che ha ben presente il fatto che ho tutta una serie di corde da tirare fuori dal mio bagaglio, così come Antonio Capuano o Edoardo De Angelis. Cito dei cineasti con i quali ho lavorato e che sono stati capaci di vedere oltre, scavando più in profondità.
A teatro invece è un’altra cosa e il rischio diminuisce di gran lunga. Ti propongono delle cose altre, c’è un tempo di gestazione differente, una libertà di espressione e una possibilità di sperimentare maggiori. Faccio l’esempio di Se Spartak piange…, uno spettacolo realizzato con un quintetto di Ottoni del Teatro di San Carlo, assolutamente folle, che mescola il calcio e le musiche di Shostakovich. E coloro che sono venuti a vederlo, anche persone che mi conoscono da quindici anni, si sono trovati di fronte a un Giovanni Esposito quasi irriconoscibile, chiamato a muoversi all’interno di una cornice completamente diversa dal solito. A teatro, durante uno spettacolo, anche in un micro percorso di un personaggio riesci a fare collimare le cose e a chiudere un cerchio. Questo per dire che sul palcoscenico c’è la possibilità di esprimersi sotto diverse forme che al cinema o in televisione invece non sono sempre concesse”.
Giovanni Esposito: “la tradizione fa parte di me e può diventare anche un peso se non sai come codificarla”
Sempre a proposito di “gabbia”, per te che appartieni a una grande fucina come quella napoletana, pensi che la tradizione possa in qualche modo diventarlo?
“Devi avere l’intelligenza – se ce l’hai – di fare capire a quelli che vedono solo la gabbia, che invece c’è anche tutto un altro mondo dietro. Per quanto mi riguarda, la tradizione fa parte di me, ho avuto modo di confrontarmi più volte con essa, perché ci ho studiato e ho lavorato con attori della tradizione come il grande Mario Scarpetta. Certo la tradizione, specialmente se importante come quella partenopea, può diventare un peso per coloro che sono chiamati a darle un seguito. Lo diventa se tu attore non riesci ad usarla come un tapis roulant attraverso il quale portare anche altre cose in maniera più forte e al passo con quelle del momento, magari facendole tue, rielaborandole e codificandole, senza però snaturarle”.
Per te che la comicità l’hai esplorata nelle sue diverse espressioni e gradazioni, pensi che ci sia un limite che questa non deve oltrepassare oppure si può ridere di tutto?
“Con intelligenza e rispetto si può ridere di tutto, anche quando il bersaglio di turno è il politically correct”.
Giovanni Esposito: “con intelligenza e rispetto si può ridere di tutto”
La versatilità è uno dei tuoi punti di forza, ma tra cinema, tv e teatro, dove ti senti più a tuo agio e pensi di esprimerti al meglio?
“Tanti colleghi si sentono a casa quando sono in teatro, io invece ti dico su un set cinematografico. Sicuramente a teatro si viene travolti dall’entusiasmo dell’immediatezza e del contatto diretto con il pubblico. Il ché spinge l’attore ad andare anche oltre quello che è necessario rispetto a certi personaggi, sostenuto dalla libertà che un palcoscenico può darti e dal non essere legato a quello che la macchina da presa sta catturando in quel momento. Al cinema con il tempo impari a capire quando sei ripreso oppure no e quando sei realmente utile in quella data scena. Per cui non sei sempre al centro dell’inquadratura e l’attenzione dello spettatore può spostarsi su altro attore. Recitare in teatro è come essere ripreso costantemente da una cinepresa dotata di un obiettivo grandangolare che è in grado di andare a cogliere anche i minimi dettagli. Spinto dal volere dare sempre di più alla platea, a volte mi sono reso conto di avere esagerato e di essermi lasciato troppo andare, gigioneggiando. Questa è una critica che mi faccio.
Al cinema invece questo non accade, perché riesco a contenerla con meno difficoltà. Dunque, in generale mi trovo più a mio agio quando sono su un set e provo sempre un grandissimo piacere a lavorarci. In teatro al contrario devo fare un percorso graduale di avvicinamento, dettato dal rispetto che ho nei confronti di un luogo così sacro e del pubblico, oltre che dalla paura, quella di deludere qualcuno tutte le volte che vado in scena, anche nel teatro più piccolo e sperduto della provincia. Si tratta di una sensazione che ho sempre, anche dopo decine di repliche. Non mi rilasso mai”.
Giovanni Esposito: “quello che mi piace trovare in una sceneggiatura è una tela da esplorare”
Cosa guida le tue scelte nell’accettare un ruolo piuttosto che un altro?
“Quello che mi piace trovare in una sceneggiatura è una tela da esplorare, nella quale però ci possono essere anche degli elementi indicativi e al contempo un’apertura che consenta l’ingresso di cose nuove. Spesso capita di avere a che fare con personaggi bidimensionali ed estremamente piatti, che costringono l’attore a inseguire per forza delle cose che non è detto che siano quelle corrette. Di conseguenza vieni assalito da continui dubbi”.
Qual è il personaggio o i personaggi che hai avuto modo di interpretare che rispecchiano questa tua ricerca?
“Ce ne sono diversi, grandi e piccoli. Anche quelli piccoli per me hanno una grande importanza, perché essere incisivi e lasciare una traccia con un personaggio che agisce in un arco ristretto di tempo non è semplice. Penso ai grandi caratteristi americani quando si misurano con poche scene e lasciano comunque il segno. Per quanto mi riguarda, tra quelli interpretati al cinema mi viene subito in mente quello di Mimmo in uno degli episodi di Polvere di Napoli di Antonio Capuano. Lì vestivo i panni di un aspirante attore alle prese con provini falsi e il sosia del suo idolo, Richard Gere. Nel suo DNA c’era una follia e un complesso di cose del quale andavo pazzo. Elementi che ho ritrovato diversi anni dopo anche in quello di Anaconda, nel film Sky di Luca Miniero dal titolo Cops – Una banda di poliziotti. Al suo interno aveva cinque o sei personalità che emergevano contemporaneamente e questa caratteristica, anche se non approfondita fino in fondo, mi ha divertito tantissimo”.
Giovanni Esposito: “riesco a dividere il Giovanni uomo dal personaggio che vengo chiamato a interpretare”
Quando ti vengono affidate figure moralmente discutibili, metti un qualche tipo di filtro per prenderne le distanze?
“Non ho mai avuto nessun problema a vestire i panni di figure discutibili, malvagie e corrotte, poiché restano comunque dei personaggi che non hanno nulla in comune con me. Penso ad esempio a quello del pentito Giovanni Pandico in Il caso Enzo Tortora – Dove eravamo rimasti?, la miniserie televisiva in onda su Rai 1, diretta e interpretata da Ricky Tognazzi. Indipendentemente che siano frutto dell’immaginazione o realmente esistiti, se le loro azioni sullo schermo sono funzionali alla storia che stiamo raccontando, servono a ricostruire gli eventi e possono creare una qualche rottura in chi la sta guardando, allora non faccio nessuna resistenza. Il perché sta nel fatto che riesco a dividere il Giovanni uomo dal personaggio che vengo chiamato a interpretare. Tale scissione mi consente di creare il giusto distacco emotivo e umano”.
Tra i progetti ai quali hai preso parte, quale è andato al di sopra delle tue aspettative?
“C’è un film molto piccolo, al quale sono molto affezionato, realizzato da Gianluca Ansanelli nel 2016 dal titolo Troppo napoletano che, nel giro di pochissimo tempo, a Napoli e in tutta la Campania, è diventato un vero e proprio cult. Così come La leggenda di Al, John e Jack che, nonostante l’insuccesso al botteghino, ha negli anni accumulato un numero incredibile di fan che ricordano ancora i dialoghi a memoria. Sono film diversi tra loro, ma che sono entrati nel cuore e nella mente degli spettatori e lo resteranno ancora a lungo. Non so quale sia la ricetta che ha permesso di raggiungere una simile popolarità, ma sta di fatto che ho visto con i miei occhi tantissime persone, di tutte le età, replicare fedelmente delle scene di questi film, senza sbagliare nemmeno una virgola”.
Tra i futuri impegni di Giovanni Esposito c’è anche l’esordio alla regia
Dove ti vedremo prossimamente?
“Siamo in attesa di sapere la data di uscita di Benvenuti in casa Esposito, la nuova commedia di Gianluca Ansanelli, tratta dal romanzo omonimo di Pino Imperatore, in cui il figlio di un boss della Camorra, alla morte del padre, vorrebbe raccoglierne l’eredità, ma è totalmente incapace. É un film esilarante, che è stato presentato in anteprima all’ultima edizione del Monte-Carlo Film Festival de la Comédie, nel quale interpreto proprio il ruolo del protagonista, Tonino Esposito. Deve ancora uscire anche Black Parthenope, opera prima di Alessandro Giglio, girata quasi interamente in inglese, che è un thriller ambientato nella Napoli sotterranea. E poi sono nel cast del secondo lungometraggio diretto da Giampaolo Morelli, un’action comedy dal titolo Falla girare. Poi tanto teatro e spero l’anno prossimo di esordire dietro la macchina da presa con un film che ho scritto con Francesco Prisco”.