Robert John Downey Sr: film, vita e miracoli di un papà d’arte ostinato e contrario
Paladino di un cinema sperimentale, satirico e dal budget risicatissimo, Robert Downey Sr. è stato un protagonista irrinunciabile della scena underground degli anni '60 e '70.
A rigor di logica, considerato il numero di vite incastrate una sopra l’altra, incarnazioni in serie di un talento volatile e disperso senza rispetto per le convenzioni, Robert John Downey Sr. doveva morire molte volte. Una per ogni rovescio della medaglia, il suo istinto satirico avrebbe apprezzato. Ma, dal momento che il destino fa economia come chiunque altro, l’ora che le riassume tutte scatta il 7 luglio 2021. 85 anni, un corpo a corpo sfiancante con il Parkinson.
Robert John Downey Sr: la biografia di un papà d’arte
Nasce a New York nel giugno del 1936. Il padre, Robert Elias Sr, manager di motel e ristoranti mentre la mamma, Elisabeth McLauchlen, modella. Cambia il cognome in Downey “requisendo” il patrigno James Downey. Cambiare le carte in tavola è l’unico modo per arruolarsi sotto età. Si sposa tre volte e ha due figli, una è l’attrice e scrittrice Allison Downey. L’altro, popolarissimo e forse un po’ singombrante, si chiama Robert Downey Jr. Croce e delizia delle dinastie cinefile. Forse Sofia resterà sempre la figlia di Francis Ford (mai viceversa), per il resto del mondo le cose sono leggermente più complicate.
In effetti il nome è popolare solo di riflesso ma al cinema americano ha comunque dato molto, Robert Downey Sr. Giocando le sue carte da alfiere del cinema sperimentale, underground, fuori norma. Il mood è sbruffone, cinico e (neanche poco) iconoclasta. Il budget risicatissimo. Fluidità professionale, dal cinema alla tv e ritorno. Ha scritto e diretto, le cose più importanti a cavallo tra gli anni ’60 e i ’70. Un epoca per cuori forti, affamati di novità e differenza. Vale la pena approfondire un po’.
Dallo sport all’esercito, dall’esercito al teatro, dal teatro al cinema
L’astuzia romantica del nome camuffato e dell’arruolamento sotto età somiglia vagamente a una spacconata da ufficio stampa, ma è capitata davvero e della storia è soltanto una parte e neanche troppo importante. A metà degli anni ’50 Robert Downey Sr. ha poco più di vent’anni, ma ha curiosato nella vita quanto basta. Atleta nella prep-school, pugile bravino, giocatore di baseball semiprofessionista, soldato semplice (l’abbiamo già visto) con all’attivo il lusinghiero record di tre (!) tête-à-tête con la Corte Marziale.
Respira il fermento culturale del Greenwich Village e si incammina verso il teatro, sarà drammaturgo off-off-Broadway. Il cinema è ancora fuori dai radar. Toccherà al grandissimo Jonas Mekas, all’epoca firma di punta di Village Voice e non ancora asceso alla gloria eterea dell’arte underground americana, sdoganare le possibilità del mezzo cinema perché il nostro è scettico e fatica a comprenderlo fino in fondo.
In effetti, la posizione di Robert Downey Sr. nei confronti non soltanto dell’arte mainstream ma anche della controcultura d’epoca, è quanto mai sbilenca. Il carattere, le modalità d’approdo, tutto concorre a tenerlo di lato rispetto ai pesi massimi di un’età dell’oro che assomma, tra gli altri, gente del calibro di John Cassavetes, Shirley Clarke e l’immancabile Andy Warhol. Il suo stile non aderisce totalmente al paradigma dell’epoca. Anticonformismo, certo. Rifiuto dell’autorità, pure. Ma anche e soprattutto un senso dell’umorismo corrosivo che stempera il cinismo e insaporisce il cuore del suo cinema. Satirico e politico.
Ha diretto per la televisione episodi di Ai Confini della Realtà, mentre al cinema è stato qualunque cosa. Regista, sceneggiatore, produttore, persino interprete. L’ultimo ruolo nel 2011 in Tower Heist di Brett Ratner. Tra gli altri ha lavorato per Paul Thomas Anderson in Magnolia (1999) e William Friedkin in Vivere e morire a Los Angeles (1985). Il meglio, tuttavia, dietro la macchina da presa, soprattutto se è lui che scrive.
Robert John Downey Sr e l’esordio al cinema – Putney Swope e i suoi fratelli
L’esordio nel 1961 con Balls Bluff, successivamente rielaborato e ampliato nel 1968 con il titolo No More Excuses, la storia di un soldato della Guerra Civile Americana catapultato nella New York del 1961. La vena politica, o meglio sarebbe dire politico-satirica, emergerà con il successivo e poco compreso Babo 73 (1964), cronaca della vita doppia e debosciata del Presidente di una nazione fin troppo riconoscibile. Seguiranno le vette scorrettissime di Chafed Elbows (1966), minestrone d’incesto, gravidanze contro natura e una vita allo sbando nella New York di metà decennio. Per la prima volta, l’accoglienza critica è solida e la reputazione di artista cult emerge con prepotenza.
La vena provocatoria esploderà con Pounds (1970), 90 minuti di esseri umani che si comportano con pieno successo come cani. C’è anche la vita di Gesù reinterpretata in chiave comico-western di Greaser’s Palace (1972). Il primo budget importante, molte polemiche. Segue il caos strutturale di Two Tons of Turquoise to Taos Tonight (1975); sketch, scene e frammenti di vita dal ritmo dissonanate e peculiare, a stento riconducibili a una qualsiasi pretesa di convenzionalità. L’ultimo lavoro è del 2005, è un documentario e si chiama Rittenhouse Square.
Ma è soprattutto con la satira sociopolitica di Putney Swope, l’anno è il 1969, che Robert Downey Sr. ritaglia la propria nicchia nel firmamento della controcultura. Scava nel cuore della coscienza (sporca) americana indugiando, con cinico umorismo, sulle tensioni e le contraddizioni di una società dei consumi ossessionata dal denaro e compromessa moralmente dal razzismo. L’ispirazione verrà da uno spunto di vita vera, maturato all’epoca dei suoi flirt con il mondo della pubblicità (altra storia). La scoperta che un dipendente afroamericano qualunque, a parità di mansioni, porta a casa uno stipendio più basso del collega bianco. Il mirino è puntato sulle agenzie di Madison Avenue, ma l’obiettivo è raccontare una storia esemplare.
Putney Swope è il solo membro nero del board di un importante agenzia pubblicitaria. Ne diventerà presidente per puro caso, scivolando inesorabilmente dall’integrità alla corruzione, dalla benevolenza al dispotismo. Un punto di vista provocatorio e senza velleità assolutorie, moderno allora come è moderno oggi. Non è più stato così popolare come in quel momento, fine anni ’60, il cinema di Robert Downey Sr. Mai così cult, mai così vero. Forse è giunto il momento di riscoprirlo.