Lumina: recensione del film di Samuele Sestieri
Allo ShorTS International Film Festival arriva Lumina, l’esordio in solitaria alla regia di Samuele Sestieri
Un cinema che basa la sua essenza sul potere delle immagini, sequenze oniriche dove l’architettura dello sguardo si perde tra paesaggi deserti e paesini abbandonati: è quello di Samuele Sestieri e del suo Lumina, esordio in solitaria alla regia (con Olmo Amato ha già firmato I racconti dell’orso) e presentato allo ShorTS International Film Festival 2021.
Lumina: l’immagine alla base del film
Una donna nuda, dai lunghi capelli rossi (Carlotta Velda Mei), si sveglia su una spiaggia deserta: è l’inizio di un viaggio che la vede vagare tra boschi rigogliosi e macerie di case che furono, attraversando in assoluto silenzio assolate giornate e notti di oscurità. Ma è lei stessa a portare luce: lei, infatti, con il suo solo esserci, fa sì che vecchi apparecchi elettronici abbandonati in giro tornino a funzionare, che si tratti di una semplice lampadina o di un datato giradischi. Anche uno smartphone all’apparenza rotto improvvisamente si riaccende, rivelando il proprio contenuto: foto e video di momenti felici di una coppia, Leonardo (Matteo Cecchi) e Arianna (Laura Sinceri), vengono contemplati e assorbiti dalla misteriosa protagonista, che proprio attraverso tali immagini sembra scoprire cosa sono l’amore e, forse, la realtà, fino a desiderare di farne parte.
In Lumina, l’atmosfera fiabesca che sembra a tratti ispirarsi alle visioni di Garrone si mescola a una dimensione fantastica e onirica, figlia del cinema di Lynch ma non solo. Il concetto stesso di immagine si pone alle basi della pellicola, che fa cinema parlando di cinema: le suggestive inquadrature della protagonista immersa nel paesaggio o stagliata sulle rovine, sorrette dalla toccante fotografia di Andrea Sorini, dialogano con gli scatti e i filmati contenuti nel cellulare. Anche se si tratta dell’unico dialogo dell’intera storia, non è comunque un dialogo armonioso: c’è contrasto tra la ricercata poesia del girovagare dell’ignoto personaggio e la quotidianità delle immagini da digitale tascabile. In questo contrasto, però, si annida la luce di Lumina, la stessa luce che la ragazza dai capelli rossi rincorre nei suoi sogni, che poi sogni non sono, o forse sì, ma l’importante è che non si smetta di cercare.
Lumina: il senso di spaesamento che affascina
L’ambientazione del film incrementa il senso di spaesamento che accompagna lo spettatore per quasi tutta la durata della pellicola: i borghi abbandonati della Basilicata e i luoghi nascosti del Lazio sono i perfetti co-protagonisti di una storia che fa della perdita di punti fissi il proprio cardine. Non è dato sapere chi sia la giovane girovaga, né come sia arrivata dove si trova, né tantomeno perché. Quello che emerge però è il suo sentire, e il suo sentirsi, in mezzo alla natura rigogliosa che la circonda, fra le macerie di case abbandonate o di fronte ai video di felicità di una coppia innamorata.
Con questa sua prima opera, Sestieri maneggia con sicurezza un linguaggio che sembra già maturo, tracciando con questo lavoro una direzione ben precisa. Frutto di un cinema “fieramente low budget”, Lumina mostra un profondo amore per un certo tipo di fare film, dove la riflessione sulla settima arte si fa essa stessa storia, in una sorta di auto-ripiegamento che però, nel suo rivelarsi, affascina.