La Notte del Giudizio per Sempre: recensione del film di Everardo Gout
La Notte del giudizio per sempre, scritto da DeMonaco, è ancora più apertamente politico, e affronta la questione del rapporto tra gli Stati Uniti e il Messico con la violenza che caratterizza il franchise.
La serie di film de La Notte del giudizio parlano della sete di violenza incorporata nel personaggio medio americano e di quanto sia sempre stata ritualizzata l’espressione di questa violenza. È il germe di un concetto che a prima vista sembra incendiario e audace. Ma nell’eseguirlo, la serie (che ora include un dramma televisivo di due stagioni) si assicura di rimanere abbastanza vaga da permettere agli spettatori americani di leggere ogni nuova voce attraverso una lente generica di storie di sopravvivenza di “persone perbene che cercano di sopportare il terrore” e non mettere in discussione la propria visione della vita troppo profondamente. Ma soprattutto è un racconto distopico generico che non è né più né meno serio di The Hunger Games o Resident Evil, solo più cattivo.
La Notte del Giudizio per sempre, una continuazione ed espansione del franchise, è ambientato vicino al confine che separa gli Stati Uniti dal Messico, ed è incentrato sugli immigrati messicani. Si sono trasferiti per sfuggire alla violenza dei cartelli della droga che hanno dirottato parti del loro paese d’origine, solo per scoprire che le cose vanno altrettanto male nel nord, in un modo diverso.
La Notte del giudizio per sempre: il capitolo finale del franchise
Questo film è ambientato dopo gli eventi di La Notte del Giudizio: Election Year del 2016, che hanno visto i New Founding Fathers of America (NFFA) e il loro candidato, il ministro Edwidge Owens, sconfitti e le notti del giudizio bandite. Sfortunatamente, i resti della NFFA sono ancora attivi. Vogliono che l’Epurazione venga ripristinata e resa continua in modo da poter sterminare liberamente le minoranze autoctone o naturalizzate, nonché qualsiasi immigrato che non sia bianco. E naturalmente ci sono criminali e psicopatici di ogni tipo che non hanno convinzioni in sé, ma vogliono solo essere in grado di scatenare la propria furia personale ogni volta che ne hanno voglia.
Scritto e coprodotto dal creatore della serie James Demonaco e diretto dal regista messicano-americano Everardo Gout, questo nuovo film (che è stato presentato come il capitolo finale del franchise) fa diversi passi avanti rispetto al passato per dire qualcosa al di là del semplice: l’America è innatamente violenta. La sua brutalità ha origine nelle recenti lotte politiche, che hanno principalmente a che fare con il muro di confine dell’ex presidente Donald Trump, la canalizzazione e l’amplificazione del risentimento dei bianchi da parte di Trump e l’immigrazione di persone di lingua spagnola negli Stati Uniti.
La Notte del giudizio per sempre: la banalità del male
I nostri protagonisti trovano un orecchio comprensivo nel datore di lavoro di Juan, il proprietario del ranch Caleb Tucker (Will Patton). Tucker è un anglo-texano ricco ma politicamente liberale. “Non hai il diritto di lamentarti del sistema che stai supportando“, dice. Suo figlio ed erede apparente, Dylan Tucker (Josh Lucas), viene inizialmente presentato come un razzista, ma il film in seguito suggerisce che il suo atteggiamento (che le razze dovrebbero restare con i loro simili, un’idea a cui Juan sembra favorevole) è almeno meno orribile del desiderio delle bande di suprematisti bianchi itineranti di uccidere chiunque non assomigli a loro.
La notte del giudizio per sempre sposta le atmosfere distopiche della saga dal contesto metropolitano a quelle di un western assolato e bollente. Questa scelta rappresenta in realtà un coraggioso attacco agli estremismi dell’America contemporanea attraverso uno dei generi più rappresentativi della sua mitologia.
Everardo Goud fa un ottimo lavoro alla regia costruendo il film con un approccio duplice: lineare ma anche capace di inattesi guizzi visivi e molto ambizioso in termini concettuali. La notte del giudizio per sempre è un western moderno pronto a esplorare nuovi miti e a ribaltarne i caratteri essenziali.
Un mix di elementi che non sempre funziona
Il prodotto finale è un mix di elementi che spesso cozzano tra loro. Si può apprezzare come La Notte del giudizio per sempre affina le cose fino a parlare di quello che è successo negli Stati Uniti sotto Trump, ma allo stesso tempo ancora una volta, il franchise mescola ansia e rabbia senza mai focalizzare la sua visione su un punto preciso.
Le interpretazioni sono migliori di quanto la sceneggiatura meriti, in particolare quelle di De la Reguera e Huerta, i cui primi piani reattivi hanno un’espressività da film muto; e Lucas, che dimostra ancora una volta di essere disposto a interpretare personaggi profondamente sgradevoli senza rivelare che è un bravo ragazzo fuori dallo schermo. L’ultimo terzo del film, che introduce cattivi nazisti e cattivi vicini ai nazisti solo per ucciderli rapidamente, sembra un brutto videogioco.