Wall Street – Il denaro non dorme mai: recensione del film di Oliver Stone
Il capitalismo, questo sconosciuto. Un mostro che mastica la propria prole, un eterno conflitto tra idealismo, utopia e catastrofe: il movimento è tutto, il fine è nulla, sentenziava Bernstein, riassunto efficace di tutto un processo di autorealizzazione popolare o per meglio dire operaia che era vero ieri ed è ancora vero oggi, in modo differente. Liberarsi, liberarsi e apprendere, erano i primi passi per una consapevolezza e un benessere di fondo, i precetti post ottocenteschi non declamavano altro che intraprendere la strada dell’autocoscienza. Proprio da ciò bisogna partire per parlare di tutte le barbarie finanziare alle quali ci hanno sottoposti televisioni, mercati, politiche e informazioni più o meno decentrate: the less we say about it the better, meno ne sappiamo e meglio è. This must be the place è la canzone da cui è tratta questa frase, che accompagna i titoli di coda di una pellicola molto controversa, Wall Street – Il denaro non dorme mai. Questo film nasce due volte, la prima nel 1987 quando Oliver Stone decise di fotografare le avide proiezioni di un broker in una società che gli permise la sua scalata in puro stile Mazzarò, spavaldo, impavido e maledettamente arido; la seconda nel 2010 che, sempre per mano di Stone, cede il passo ad una drammatizzazione maggiore, i toni sono più dimessi e grondanti di un riscatto che non trova sempre spazio nel mondo reale. Ma facciamo un passo indietro. Oliver Stone dopo aver criticato singolarmente le follie capitalistiche e le idealizzazioni ad esse connesse, sempre contestualizzate negli anni d’oro dell’alta finanza dal sapore 80’s, ha perpetuato la sua critica incisiva ad oggi, al nostro declino, al quel 2008, all’America che non conosce limiti di vittoria o quando ammettere una sconfitta.
Wall Street – il denaro non dorme mai: Michael Douglas re dei broker
Ed ecco che nasce Gordon Gekko (Michael Douglas), il padre di tutti i broker, ancora prima del lupo incarnato da DiCaprio. Gekko torna a fare scuola dopo otto anni di reclusione e tanti, tantissimi sbagli ai quali la pellicola sembra desiderosa di fargli porre rimedio. Alla presentazione del suo libro L’avidità è giusta? partecipa un ragazzo, un giovane broker di nome Jacob Moore (Shia LaBeouf), desideroso di apprendere nozioni e delucidazioni per declinarle al suo ambito d’appartenenza: Jacob lavora per la Keller Zabel, una storica banca d’affari che investe principalmente nelle energie pulite ed alternative. Jacob ha per mano le sorti di un’azienda che è in procinto di scoprire un nuovo modo di produrre forza lavoro attraverso l’energia talassotermica e la fusione dell’idrogeno. Jacob partecipa all’incontro poiché il nome di Gekko è leggenda, è un profeta dell’economia globale, parla di una recessione imminente e di come tutte le banche di li a poco sarebbe crollate una alla volta, sature e disastrate, figlie di investimenti errati e di quei maledetti titoli tossici che arriveranno a creare un effetto domino devastante e totale. Tutt’altro che erroneamente, la sua profezia si avvera, la crisi comincia a colpire senza tregua e Louis Zabel, a capo della suddetta banca, durante un incontro al vertice delle maggiori banche americane chiede alla Churchill Schwartz una mano considerevole per rinnestare le sue condizioni, sorti che avranno la peggio, considerata l’offerta di Bretton James (Josh Brolin) capo della Churchill Schwartz, di riacquistare la banca ad un prezzo desolante che ne provocherà l’inesorabile fallimento, la perdita di tantissimi posti di lavoro e portando Zabel a togliersi la vita. In tutto questo vangelo apocrifo della finanzia di oggi, il punto esclamativo va a conciliarsi nella storia d’amore tra Jacob e la figlia di Gekko, Winnie. Padre e figlia non si parlano da anni, lui ai suoi occhi è stata la causa della morte del fratello, con un passato da tossicodipendente, la sua mancanza ha in un certo senso distrutto la sua famiglia nella sua interezza. Jacob entra in modo silente e clandestino nella vita di Gordon, cerca di far riavvicinare padre e figlia, e dal canto suo ottiene anche piccoli pareri sui rivali del mondo di Wall Street e modi di destreggiarsi tra gli squali di Manhattan. Ma Gordon non fa mai nulla per nulla, l’avidità è giusta, è la sua molla, è la sua indole e per quanto possa apprezzare l’avventatezza e la passione di Jacob, broker e innamorato di sua figlia, lui resta un uomo d’affari e come tale si dimostrerà in seguito, tranne nei battiti finali.
Qualcuno mi ha ricordato, qualche sera fa, che una volta ho detto: l’avidità è giusta. A quanto pare è diventata legge. Perché vedete, è l’avidità che spinge il mio amico barista a comprare tre case che non può permettersi senza dare l’anticipo. Insomma lo sappiamo tutti che il prezzo delle case in America sale sempre, giusto? Ed è l’avidità che ha spinto il nostro governo a ridurre il tasso di interesse all’1% dopo l’11 settembre perché tornassimo tutti a fare “shopping”. Ed hanno inventato tante belle “siglette” per mascherare il grande debito. CMO, CDO, SIV, AVS…scommetto che ci sono al massimo 75 persone in tutto il mondo che sanno che cosa sono. Beh adesso ve lo dico io, sono solo delle ADM: Armi di Distruzione di Massa, ecco che cosa sono. I signori degli ex-found se ne andavano a casa con 50/100 milioni di dollari l’anno. Così anche il banchiere, si guarda intorno e dice “mica sono l’ultimo imbecille”. E comincia ad usare la leva finanziaria sugli interessi fino a 40/50 a uno. Con i vostri soldi. Non con i suoi, con i vostri. E glielo lasciano fare, tanto siete voi che avete fatto il mutuo. E il bello della faccenda è che nessuno è responsabile. Il fatto è che crediamo tutti alla stessa favola.
Oliver Stone rischia grosso, riproponendo una storia sì puramente contestualizzata ancora una volta, ma forte del suo lascito, del suo premio oscar al miglior attore e al sapore dell’inchiesta non solo ai valori economici e all’indottrinamento finanziario che non ha alcuna etica, nemmeno per sbaglio, ma al ritorno, a quel voluto flashback per riconsiderare, riesumare gli errori, le debolezze di un sistema che torna ad avvalersi della facoltà di ridicolizzare la legalità, la morale, gravando sulle spalle e sulla pelle di investitori e di persone comuni e ignare, una vera opera di strozzinaggio alla quale si viene sottoposti senza alcuna coscienza. Ma, Wall Street – Il denaro non dorme mai, pecca di perbenismo, soprattutto alla fine, quando dopo tante malefatte e l’indole da barracuda di Gekko che torna a primeggiare, egli non può far altro che misurare il suo passato e il suo futuro e pentirsi, ancora una volta. Ecco, lì, nel frangente che precede il perdono che la pellicola perde il suo tratto distintivo, la sua freddezza, la sua ignavia non sono più credibili, le due ore di film vengono ridicolizzate dal finale, stonato e immaturo, l’happy ending è spartano e figlio di un’inettitudine disarmante. Oliver Stone porta in sala una storia che nasce due volte ma che per sua fortuna conosce i colori del crepuscolo una volta solamente.