Cannes 2021 – Petrov’s Flu: recensione del film di Kirill Serebrennikov

Petrov's Flu propone un immaginario corale rappresentativo di un mondo che non c’è (o forse sì), di un popolo che ancora porta i segni di una propaganda che spesso ha diffuso successi solo nominali, senza sostanza, in cui è vero tutto e il contrario di tutto.

Kirill Serebrennikov torna ancora una volta al Festival di Cannes, questa volta in concorso per la Palma d’Oro, con la nuova opera Petrov’s Flu, un racconto allucinato e onirico di una giornata familiare, animata da ricordi e salti temporali che riuniscono in poche ore il passato di interi decenni.
Petrov ha la febbre; anche la moglie di Petrov (che moglie non è più anche se continuano a vivere sotto lo stesso tetto) ha la febbre; anche il figlio ha una febbre che non accenna a diminuire. Petrov dedica molto del suo tempo all’alcol e all’ozio, cacciandosi in situazioni rocambolesche dagli esiti sempre inaspettati. La moglie di Petrov, invece, è una stimata bibliotecaria, totalmente intransigente davanti alle ingiustizie e alla maleducazione. Il figlio di Petrov, nonostante la malattia, vorrebbe a tutti i costi andare alla festa di Natale organizzata dalla sua scuola. Il padre lo accontenta e in quel frangente, come gli succede continuamente, rivive ricordi del passato e vecchie speranze che trasportano lui e gli altri personaggi in un viaggio nel tempo alla ricerca delle proprie radici. Un flusso di coscienza alterato e visionario in cui tutto può accadere, passando da rappresaglie anarchiche alla risoluzione di vecchie incognite.

Petrov's flu - Cinematographe.it

Petrov’s Flu: un viaggio onirico e visionario

Serebrennikov si conferma un mattatore, un regista che con i suoi universi narrativi riesce a colpire il pubblico senza nessun filtro, proponendo la sua visione del mondo e non tirandosi indietro di fronte allo scandalo. Nonostante la sua detenzione in Russia, lo ritroviamo qui come regista e sceneggiatore, autore di un racconto continuamente su di giri e profondamente personale.

Non esistono confini tra realtà e proiezione mentale nell’universo di Petrov’s Flu, esistono soltanto quelli definiti dalle mura di casa (osservate con claustrofobia come fossero un modellino), quelli di una cassa da morto (da cui comunque si può sempre scegliere di uscire), quelli di un tram le cui porte non si chiudono mai nonostante il rigido inverno. Così, sulla scena non compaiono eventi che si susseguono legati da un rapporto di causa effetto, ma si vedono apparire delle situazioni realistiche e tutti i sogni aperti che esse provocano nei vari personaggi, Petrov e famiglia in primis. Per esempio, di fronte a una persona ci si immagina quale sia il suo aspetto senza vestiti, oppure i graffiti di un ascensore prendono vita, deformando definitivamente la percezione della realtà fino a porre la domanda “ma tu, sei reale?”.

Su cosa sia reale o meno non solo Petrov’s Flu non prende posizione, ma anzi aggiunge confusione, proponendo in fondo che l’entità più vera di tutte sia la propria percezione della realtà circostante, nei suoi aspetti materici e non. Iniziando con un’ambientazione quasi post apocalittica e cyberpunk, il film lentamente si distende e offre agli spettatori una guida verso la via d’uscita dopo averli gettati nella più totale confusione, come un’ancora di salvezza dopo averli gettati in una violenta tempesta in mare aperto. Quello di Kirill Serebrennikov è un immaginario corale rappresentativo di un mondo che non c’è (o forse sì), di un popolo che ancora porta i segni di una propaganda che spesso ha diffuso successi solo nominali, senza sostanza, in cui è vero tutto e il contrario di tutto. La febbre che affligge Petrov e i suoi familiari riporta a galla tutto questo processo di convincimento in cui realtà e fantasia sono due concetti che non esistono nemmeno, tanto sono compenetrati.

Regia - 5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

3.5