La Direttrice: recensione della serie Netflix con Sandra Oh
La serie TV Netflix con Sandra Oh fa sorridere, pensare e commuovere.
Sandra Oh è Ji-Yoon Kim, la prima donna asiatica a dirigere la facoltà di inglese della Pembroke University, come si siede sulla chair (che significa sedia ma è anche il termine con cui si denomina la direttrice), quella del suo nuovo incarico, la sedia crolla, quasi un presagio di quello che sta per succedere. Creata da Amanda Peet, prodotta da Sandra Oh con D.B. Weiss e David Benioff di Game of Thrones, La Direttrice (The Chair) è una miniserie in 6 episodi da 30 minuti su Netflix dal 20 agosto 2021, dramedy sulla gestione di una facoltà che ha non pochi problemi.
La Direttrice: un racconto di donne che devono lottare per raggiungere i propri scopi
Ji-Yoon è stata scelta per dirigere una facoltà che sta vivendo una profonda crisi, le iscrizioni da parte dei giovani mancano, deve decidere quali tra i professori più anziani, licenziare: loro sono pagati molto più degli altri, ma non offrono agli studenti più giovani insegnamenti interessanti, punti di vista nuovi. Lei fa di tutto per migliorare la situazione, per risollevare una didattica stanca ma le cose si complicano, non riesce a capire le dinamiche accademiche che spesso puntano ai finanziamenti che non alla qualità dell’aiuto; la sensazione è che la scelta sia ricaduta su di lei proprio perché la situazione era così difficile, come se nessun altro volesse sbrogliare questa intricatissima matassa. La direttrice non vuole scontentare nessuno, crolla sotto tutte queste responsabilità perché è una persona buona, speciale, piena di umanità: è sempre pronta a sostenere i suoi colleghi e amici, a spingere a fare meglio, promettere loro cose perché conosce le potenzialità e le qualità dei suoi docenti ma i suoi capi le impongono altre scelte, altre strade. Lei si porta il peso del lavoro a casa, porta tra le mura domestiche i dubbi, le incertezze e la sua vita si complica sempre più, costretta tra scelte da compiere, ingabbiata in lotte contro se stessa e contro gli altri, temendo di fallire non sono come lavoratrice ma anche come madre. Ji-Yoon ha adottato con non poche difficoltà perché è single, una bambina ispanica Ju-Ju (Everly Carganilla) con cui ha un rapporto conflittuale perché la piccola, molto più grande, autonoma e indipendente della sua età – il suo linguaggio, le parole che usa sono quelle di un’adulta, non quelle di una bambina -, la allontana ricordandole spesso che lei non è sua madre, insomma la ragazzina non sembra sentirsi a suo agio nella nuova casa e fa impazzire tutti quelli che le capitano a tiro.
La Direttrice racconta un mondo in cui per le donne tutto è molto complicato, un mondo in cui le donne sono ancora messe, anche se in maniera sottile e subdola, da parte; lei è le colleghe sono accumunate da una storia simile, nonostante etnia e colore della pelle differenti. Per loro è sempre difficile raggiungere alti livelli, più faticoso a causa del sessismo che i colleghi maschi e un sistema accademico maschilista rivolgono loro: è capitato a Joan (Holland Taylor), amica e mentore di Ji-Yoon, il cui ufficio ora viene spostato nel seminterrato perché lei ormai non serve più, è finito il suo tempo, Joan che non perde occasione di ricordare quanto per lei nulla sia stato facile, come sia stato indigesto non avere le stesse onorificenze dei colleghi in quanto donna, come a volte abbia ceduto a compromessi per raggiungere alcuni traguardo. Stessa sorte, addirittura triplicata, è toccata a Yaz McKay (Nana Mensah), giovane studiosa afroamericana, ha dovuto battersi con le unghie e con i denti per diventare quella che è, essere più brava di tutti perché in quanto donna e in quanto afroamericana gli ostacoli sono stati molti. Ji-Yoon le promette che lei sarà la prima donna afroamericana a diventare di ruolo nel dipartimento per riscrivere le dinamiche dell’insegnamento, per focalizzarsi su nuove tematiche, con nuove lenti. Quella del femminile è sicuramente una delle tematiche più importanti, ben tratteggiate nella serie, le cose sono cambiate sicuramente ma ci sono ancora molti inciampi, molti scarti che toccano le donne quando si parla di lavoro.
La Direttrice: il percorso di una donna che dalla crisi rinasce e matura
La serie racconta sì le discriminazioni nell’ambiente accademico – la questione stipendi viene messa ben in evidenza, le donne vengono pagate meno dei colleghi uomini e devono lavorare il doppio -, ma anche le diversità culturali tra le differenti etnie in campo lavorativo ma anche in casa. Il rapporto tra Ji-Yoon, suo padre, la figlia adottiva è molto complesso: la direttrice e il nonno sono asiatici, mentre la bambina è e si sente americana; elemento primario per analizzare questo tema è la questione linguistica, nonno e nipote, non parlano/non si capiscono tra di loro perché lui comunica solo con la sua lingua originaria e lei invece solo con l’americano.
Ji-Yoon è anche una donna, fondamentale per il suo percorso e per lo sviluppo del suo personaggio (che vuol dire rinascita e maturazione) è il rapporto con il professore Bill Dobson (Jay Duplass), rimasto da poco vedovo, con cui lei ha una relazione molto stretta. Amici, complici, amanti nel senso etimologico, passano molto tempo insieme, si sostengono e si supportano anche nei momenti più tragicomici e difficili della loro carriera e della loro vita. Sarà proprio Bill a causare l’ennesimo problema a Ji-Yoon nel momento in cui durante una lezione per attirare l’attenzione della classe irriderà, a dire dei suoi studenti, gli ebrei e il genocidio; La Direttrice quindi rappresenta anche un nuovo periodo storico in cui la visione del mondo è differente, in cui le sensibilità sono molto differenti. Gli studenti infatti sottolineano come non possa essere un maschio bianco, eterosessuale, rappresentazione del privilegio, a spiegare loro per cosa possono rimanere feriti; questa è la nuova generazione e la serie la mette in campo. L’uomo non riesce a rimediare alle sue colpe, a chiedere scusa perché quella che per lui era ironia si rivela un’offesa, ogni parola da lui pronunciata non mette d’accordo coloro che prima tanto lo apprezzavano in quanto professore illuminato e aperto al dialogo. Una carriera distrutta, un uomo molto triste.
Sarà Ji-Yoon a passare del tempo con lui cercando di farlo ragionare – ma tacerà per non farlo soffrire quando la sua situazione al lavoro si farà tragica -, l’uomo diventerà una sorta di bambinaio per la Ju-Ju che lo amerà da subito, abbracciandolo, volendo ascoltare le sue favole della buonanotte. È proprio il lato umano dei personaggi ad essere uno dei punti forti di La Direttrice: Sandra Oh, la Cristina Yang di Grey’s Anatomy è la punta di diamante della miniserie perché è capace di tradurre le emozioni del suo personaggio con delicatezza e intelligenza, di mescolare ironia e dramma per mostrare una donna multisfaccettata. È in grado di mostrare la guerra interiore che la attanaglia, lo scontro forse banale ma qui narrato con originalità, portandolo nel contemporaneo, tra ragione e sentimento, la simpatia e la tenerezza verso Bill che la mette alla prova, la fa sbagliare, inciampare e migliorare.
La storia forse in certi momenti si perde perché vuole raccontare troppo, sembra voler correre ma La Direttrice è un racconto che sa narrare il contemporaneo tra personale e pubblico, sa riflettere sul mondo accademico, facendo un discorso complesso, nervo scoperto ancora, su discriminazione razziale e di genere in luogo appannaggio del maschile.
La Direttrice: una bella serie che fa sorridere, pensare e commuovere
La Direttrice è una serie che fa sorridere, pensare e commuovere anche, a tratti inciampa e forse nel finale non convince, ma sicuramente la forza e la fragilità della sua protagonista, le tematiche messe in scena stimolano il pubblico.