Doppia colpa: recensione del thriller con Guy Pearce e Pierce Brosnan
Doppia colpa è un thriller spompato, pieno di filosofismi e cliché che ne minano la riuscita.
Doppia colpa (titolo originale Spinning Man) di Simon Kaijer si avvale del volto del Guy Pearce e Pierce Brosnan, senza mai sfruttarne a pieno il talento. I due attori rimangono vincolanti ad un racconto soporifero e a tratti confusionario. Doppia colpa è infatti un thriller senza mordente che guarda mezzo sopito ad altri film di genere. La regia si aggrappa con tutte le sue forze ai suoi protagonisti e al loro talento, ma questo non basta a tappare le falle di una sceneggiatura semplice e poco dinamica. È infatti qui che il racconto incespica, nel ripercorrere le stesse azioni, i personaggi girano in tondo, come bloccati in un loop temporale. La sensazione è quella di rivedere la stessa scena più e più volte, fino ad arrivare ad una conclusione spompata e priva di climax.
Suspense, adrenalina, curiosità. Sono solo alcuni degli stimoli a cui un thriller dovrebbe portare. Doppia colpa li bypassa tutti quanti, appiattendo racconto e personaggi a figure bidimensionali e stereotipate.
Doppia colpa: il film tratto dall’omonimo romanzo di George Harrar
Tratto dall’omonimo romanzo di George Harrar, Doppia colpa vede il professore universitario Evan Birch (Guy Pearce) indagato per la scomparsa di una giovane studentessa, Joice Bonner. Birch è un padre di famiglia e uno stimato accademico, ma in passato ha avute delle relazioni extraconiugali che hanno minato la fiducia della moglie Ellen (Minnie Driver). L’uomo è il primo sospettato dalla polizia, e il detective Robert Malloy (Pierce Brosnan) gli starà alle calcagna fino alla fine.
Una ragazza scomparsa, un sospettato, un detective e un mistero. Queste sono le basi di un poliziesco classico, e Simon Kaijer ne è pienamente consapevole. Ciò che incuriosisce è invece quel piccolo collegamento tra Doppia colpa e Memento. Il trait d’union è proprio Guy Pearce che, come nel film di Christopher Nolan, sembra avere problemi di memoria. Un aspetto non da poco, a cui sicuramente gli ideatori avranno pensato, ma che crea un parallelismo divertente e quasi auto-citazionistico (per Pearce). Chiusa questa piccola parentesi, il film non ha molto altro da raccontare. Si perde nei meandri della vita extraconiugale di Birch, nelle pulsioni e in quella verità che si è creato attorno. Ed è proprio di verità che Doppia colpa parla, la verità soggettiva di ognuno e quelle situazioni che creiamo quotidianamente nella nostra mente; il problema è quando diventano reali. È ciò che succede al professore, costantemente messo in discussione dalla moglie e dalle autorità, e infine da sé stesso.
Filosofia e poliziesco, come trovare il punto d’unione?
In thriller di questo di genere il protagonista è sempre messo in discussione, basti pensare alla serie The Undoing – Le verità non dette con Hugh Grant e Nicole Kidman. I due prodotti condividono non poche similitudini, per quanto la serie di Susanne Bier abbia centrato meglio le potenzialità del racconto da cui è tratta. Doppia colpa sembra essere anche didascalico, nel suo rappresentare la filosofia e la “missione” del filosofo, arrivando fino al rapporto con la polizia. Brosnan afferma infatti che filosofi e detective siano uguali, entrambi alla ricerca di prove. Un modo, questo, per cercare di alzare l’asticella intellettuale del film, purtroppo senza riuscirci; cosa che la prima stagione di True Detective con Matthew McConaughey è invece riuscita a fare.
Il cinema è come un cocktail, si cercano gli ingredienti giusti e li dosiamo minuziosamente fino ad ottenere il giusto bilanciamento. Ed è forse questo il problema più grande di Doppia colpa, il giusto bilanciamento delle varie parti che lo compongono. Brosnan, per esempio, rimane relegato a quattro battute e a un riso sardonico. Insomma, Simon Kaijer non ci crede abbastanza e confeziona un thriller fiacco, quasi annoiato.