Vinterviken: recensione del film Netflix di Alexis Almström

Il secondo adattamento del romanzo svedese di Mats Wahl pubblicato nel 1993, cura autenticità recitativa e messinscena sulle divergenze di classe. Eppure il Vinterviken di Netflix rimane (troppo) classico e narrativamente disciplinato. Dall’8 settembre 2021 sulla piattaforma.

Secondo adattamento di Vinerviken, romanzo di Mats Wahl pubblicato nel 1993 e al cinema diretto tre anni dopo da Harald Hamrell, l’omonima e ultima rielaborazione per Netflix, disponibile in piattaforma dall’8 settembre 2021, modernizza guardando a Skam il canovaccio classico e pienamente sperimentato dell’impossibilità romantica per gap socio-culturale, rubando dalla vicina webserie norvegese esportata in mezzo mondo, alcune modalità visive e narrative del teen-drama in formato personale.

Elsa Öhrn e Mustapha Aarab sono i giovani attori protagonisti di Vinterviken su Netflix

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Procedendo su parallelismi e disparità convergenti, la regia di Alexis Almström trasferisce nella Stoccolma odierna spaccata tra privilegio alto borghese e sobborghi periferici, la storia letteraria d’(inizio) amore fra la giovane Elisabeth (Elsa Öhrn), schiva e respingente per educazione e perdita materna, e il coetaneo John-John (Mustapha Aarab), marocchino di seconda generazione incline alla delinquenza, pienamente intrecciato nei codici d’onore e malvivenza del suo microcosmo di appartenenza. I due incrociano per la prima volta vite e sguardi nella lussuosa villa del padre di lei causa riconoscenza di un salvataggio in acqua, per poi ricontrarsi mesi dopo nella stessa scuola di teatro, provando con cautela ad avvicinare, anzi annullare, differenze di ‘possibilità’ ma non di sentimento.

Inconciliabilità socio-culturali nella Svezia contemporanea

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Di divari economici e inconciliabilità pragmatiche, il Vinterviken dell’era social raddoppia il punto di vista e ne mostra così il progressivo avvicinamento, svelando nella perfetta costrizione del vantaggio finanziario di lei, la rispettiva e limitata libertà nella modestia dell’altro, ricercando per movimenti di camera e naturalezza recitativa, una prossimità dall’ambizione intimistica delle vite di entrambi. Nonostante una prima parte superiore nelle premesse di un’attrazione che forse sarà, il film di Almström soffre di una prevedibilità restringente, limitando sul racconto forzato degli ostacoli la possibilità di depistare la traiettoria verso una rivisitazione più audace. La ri-scrittura di Wahl, qui affidata a Dunja Vujovic, sperimenta infatti solo apparentemente una contemporaneità tattile definita sulle nuove generazioni, includendo tecnologie e illegalità in età scolare, ma tenendosi complessivamente nella misura rassicurante dell’originale d’inizio anni novanta.

Tra coming-of-age romantico e dramma a sfondo sociale, Vinterviken ricerca nel pubblico Young Adult il suo personale riferimento

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Spinto da un taglio da videoclip con colonna sonora distorta tra chill-out, techno e hip-hop curata dal compositore Vittorio Grasso, l’operazione di moderamento che osa Vinterviken cerca allora di far breccia nei cuori di un pubblico di coetanei amanti del genere young-adult, rassicurati sugli snodi del mélo romantico e del coming-of-age in passo a due, riproposti in uno sguardo decisamente più ricercato, ingranato su camera a spalla, gamma di luci tra il neon e il naturale, e recitazione come attività educativa di scoperta di sé. Non c’è redenzione, ma piuttosto comunanza pericolosa: il finale di Vinterviken non spazza via sul colpo di scena l’esito del film parzialmente virato sul dramma a sfondo sociale, eppure affida all’apertura la personale visione di un rischioso futuro di coppia, pericolosamente salvato in corner da un grilletto (forse) premuto con mano vendicativa.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8

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