Venezia 78 – La macchina delle immagini di Alfredo C.: recensione del film con Pietro de Silva
La recensione de La macchina delle immagini di Alfredo C., il film con Pietro de Silva presentato a Venezia 2021.
La macchina delle immagini di Alfredo C. è il racconto di molti, spesso dimenticato nelle pieghe della storia, vale a dire quello dei tanti italiani rimasti esiliati in terra albanese dopo la liberazione dei Balcani dell’autunno del 1944. Alfredo C. è il protagonista che, come tanti altri, è stato inviato in Albania nel 1939 a filmare e testimoniare la grande dominazione italiana, come richiesto dal regime fascista dell’epoca; in quanto operatore cinematografico dell’Istituto Luce, a lui spetta il compito di inquadrare (in tutti i sensi) l’operato del regime italiano in questa nuova terra. All’indomani della liberazione nel 1944, Alfredo C. rimane al di là del mar Adriatico, segregato in terra straniera dalle strettissime regole che normano il rimpatrio degli occupanti italiani secondo il volere del nuovo regime comunista. Il protagonista che finora ha usato il suo sapere per promuovere il regime fascista si trova adesso a capovolgere il messaggio delle sue immagini mentre davanti ai suoi occhi scorrono le pellicole di tutta la sua vita, raccontando un mondo che sembra lontano nel tempo ma che forse ha in realtà solamente cambiato segno.
La macchina delle immagini di Alfredo C.: la propaganda del regime fascista vista con gli occhi di Roland Sejko
La macchina delle immagini di Alfredo C. è presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2021 nella sezione Orizzonti Extra e rappresenta un’interessante commistione di linguaggi. Grazie alla voce (e al volto) narrante di Pietro de Silva, il regista Roland Sejko giustappone racconto personale a immagini e filmati di repertorio dell’epoca, per guardare con una guida diversa e una prospettiva rinnovata a tutta la propaganda di regime promossa dalle riprese dei tempi. Con un’impostazione quasi museale il regista mescola documentario e recital, facendo affidamento da un lato sulla voce profonda e stentorea di un ottimo protagonista e dall’altro lato sull’immediatezza delle immagini di repertorio. Quella di Alfredo C. è una storia che accomuna decine di migliaia di italiani che si sono trovati bloccati in Albania e che facilmente fa andare il pensiero a Lamerica di Marco Belloccio che allo stesso modo accennava a una realtà rimossa da tutta la società italiana e che il corso del tempo ha coperto con nuove abitudini ed equilibri.
Come definito dallo stesso regista, La macchina delle immagini di Alfredo C. è un gioco di specchi che riflette quella stessa illusione di rigore e cambiamento politico vissuta al termine della Seconda Guerra Mondiale da parte di molti Paesi, tra cui proprio l’Albania e in generale i Balcani. Roland Sejko si interroga in questi termini sul potere stesso della propaganda e sulle colpe che ogni persona potrebbe vedersi imputate, grazie al contributo (più o meno convinto) che ha dato all’evolversi della situazione storica generale. Anche Alfredo C. segue l’invito del regista a guardare gli stessi luoghi e gli stessi volti con cui ha vissuto negli ultimi anni con una prospettiva diversa, avendo nuovi termini di paragone e chiedendo a se stesso in che modo il proprio ruolo possa essere stato decisivo per una simile risoluzione degli eventi. L’input decisivo a voler raccontare questa storia è arrivato al regista quando, sfogliando le carte dei rimpatri degli italiani, ha trovato un uomo che, inizialmente iscritto come operatore dell’Istituto Nazionale Luce in Albania, era diventato un dipendente del Minculpop comunista. La sua figura assurge a evidente esempio di come il susseguirsi dei regimi diventa in molti casi solo un’illusione, dove il messaggio resta sempre lo stesso, pur cambiando di segno il linguaggio.