Convergence: il coraggio nella crisi – recensione del documentario Netflix
Un anno di pandemia raccontato in prima linea dalla videocamera del regista premio Oscar Orlando von Einsiedel in un documentario che non può lasciare indifferenti. Dal 12 ottobre su Netflix.
Bisogna farsene una ragione e accettare che da qui ai prossimi mesi, per non dire anni, sul piccolo e grande schermo arriveranno un numero indefinito di film, serie e documentari che, direttamente o indirettamente, parleranno di Covid-19. La pandemia ha segnato in maniera indelebile la storia dell’umanità di oggi e del domani, scrivendo pagine dolorose e incidendo nella memoria collettiva ferite che probabilmente non si cicatrizzeranno mai. Davanti alla possibilità di raccontare eventi epocali di una portata tanto rilevante, il cui eco continuerà a risuonare nei decenni avvenire, la Settima Arte e l’audiovisivo in generale non si sono mai tirati indietro. Per quanto riguarda il Coronavirus e suoi effetti devastanti sulla popolazione mondiale, il proliferare di opere già prodotte, distribuite e attualmente in cantiere alle diverse latitudini ne sono la prova tangibile. Tra le ultime a vedere la luce c’è Convergence: il coraggio nella crisi, il documentario firmato dal premio Oscar Orlando von Einsiedel, disponibile su Netflix a partire dal 12 ottobre 2021.
Convergence racconta dalla “prima linea” e in presa diretta un anno di pandemia
Il regista londinese ha raccontato dalla “prima linea” e in presa diretta un anno di pandemia, dodici mesi filtrati attraverso la sua videocamera e quelle di una serie di testimoni oculari che hanno narrato dal proprio punto di vista gli accadimenti. Nove storie ambientate in otto Paesi per riassumere sullo schermo la cronaca del rapido sgretolarsi di un pianeta andato in frantumi e il successivo tentativo di rimettersi in piedi. In questo arco temporale che va dallo scoppio della pandemia in quel di Wuhan sino alla somministrazione del primo vaccino in Gran Bretagna, von Einsiedel è andato in giro a documentare la catastrofe umana, sanitaria, sociale ed economica, spostandosi da un continente all’altro, lasciandosi affiancare da un piccolo esercito di coraggiosi narratori (dal vlogger cinese Wenhua Lin al filmmaker siriano Hassan Akkad, passando per l’ex organizzatrice di eventi Renata Alves ora volontaria sulle ambulanze) per dipingere un ritratto corale intenso, a tratti straziante, davanti al quale è impossibile rimanere indifferenti.
Un instant movie grazie al quale si accendono i riflettori su una tragedia ancora in atto.
Non si tratta di un docu-film partecipato sulla falsariga di operazioni come Fuori era primavera di Gabriele Salvatores, con il quale ha in comune solo la polifonia del racconto, ma di un intreccio di reportage sul campo e di videodiari in prima persona con il quale l’autore ha voluto restituire la cronaca vera e drammatica di quei giorni. Per farlo è andato in loco e ha mandato le videocamere affidate a cittadini del mondo direttamente nell’occhio del ciclone, riportando a casa immagini di grande potenza, cariche di dolore, morte e sofferenza, ma anche di speranza e voglia di mettersi alle il prima possibile l’incubo alle spalle. I diversi punti di vista e le voci raccolte permettono una molteplicità di prospettive, che fanno emergere oltre alle “falle” anche tutta una serie di ingiustizie e disparità che affliggono la popolazione mondiale. Ne viene fuori un instant movie grazie al quale si accendono i riflettori, con la spinta propulsiva di un inchiesta, su una tragedia ancora in atto.
Le immagini che scorrono sullo schermo sono forti, difficili da sopportare
Mano a mano che il numero di contagi e di decessi sale, più l’autore affonda il dito nella piaga, mostrando senza remore le conseguenze sulla popolazione, indipendentemente dallo strato sociale di appartenenza, proprio a sottolineare la spietatezza di un nemico invisibile che non guarda in faccia niente e nessuno. Ecco perché Convergence e chi lo ha concepito non hanno avuto nessuna remora a mostrare. E infatti le immagini che scorrono sullo schermo sono forti, difficili da sopportare (vedi i cadaveri bruciati davanti ai parenti a Delhi, oppure i trasporti in ambulanza dalla favela di Paraisòpolis a San Paolo, o ancora l’intubazione di un ragazzo in fin di vita nella terapia intensiva dell’ospedale di Lima). Proprio questa verità e il desiderio di restituirla senza se e senza ma giocano a favore di un film che merita di essere visto.