Chapelwaite: recensione della serie TV con Adrien Brody
Distribuita dal 26 ottobre su Tim Vision, Chapelwaite è tratta dal racconto di Stephen King "Jerusalem's Lot" e interpretata dal pluripremiato attore Adrien Brody.
Stephen King, autore di innumerevoli best-Seller e Re innegabile del romanzo dell’orrore ha dato spunto a una vastissima cinematografia. Chapelwaite, serie adattata per la TV da Jason e Peter Filardi e distribuita in Italia da TimVision, si accoda a questa lunga e spesso fortunata sequenza. Per il pubblico italiano sarà possibile vedere i primi cinque episodi tutti insieme a partire dal 26 ottobre, mentre i restanti saranno caricati sulla piattaforma dal 2 novembre. Una buona scrittura e un’ottima interpretazione – il protagonista della serie e interprete del Capitano Charles Boone è Adrien Brody – oltre che a una rievocazione efficace delle atmosfere di King, nonostante i vari cambiamenti, rendono Chapelwaite una serie da non perdere per tutti gli amanti dell’horror e dello scrittore del Maine.
Chapelwaite: atmosfere cupe nella provincia americana
Sia per chi ha letto il racconto da cui è tratta la serie, Jerusalem’s Lot, prequel del famoso romanzo di King Le notti di Salem (Salem’s Lot), sia per chi non ha ancora avuto questo piacere, Chapelwaite è una serie estremamente gradevole e ricca di atmosfera. Le tematiche e l’ambientazione sono molto riconoscibili per chi apprezza in generale la poetica di King e si orienta con più o meno dimestichezza nel suo universo. La storia del Capitano Boone e dei tre suoi figli (una variante rispetto al racconto, in cui il protagonista è in compagnia del suo servo Calvin McCann) è ambientata in un tetro paesino del Maine, dove parte dell’orrore è soprannaturale, ma anche in gran parte causato dai pregiudizi e dal bigotto moralismo dei suoi abitanti. Come in altre sue opere, King denuncia il doppio binario del male, quello che si concretizza in creature violente e pericolose e quello che si annida nella quotidianità e nella mentalità di chi le circonda.
La storia raccontata in Chapelwaite (il titolo è tratto dal nome della tenuta che Boone eredita da un suo ignoto zio) è appunto quella di un Capitano da poco rimasto vedovo, che abbandona il mare per dare un futuro più stabile ai suoi figli, rispettando così le ultime volontà della moglie. Quando la famiglia arriva in paese, presto si scontra coi pregiudizi degli abitanti, che si tramutano in effettivi gesti d’odio quando Boone e i ragazzi provano a integrarsi. Non è solo la diversa etnia (“mista”, in realtà) dei bambini a suscitare scortesia e diffidenza, ma anche e soprattutto la pessima nomea che la famiglia Boone porta in eredità. Quest’aura malefica attorno alla casa e attorno alla famiglia sarà proprio il sottofondo misterioso delle prime puntate, che indurranno lo spettatore ad andare avanti e capire quale orrore si nasconde nel sangue dei Boone.
Un gran cast e un’ottima resa tecnica
Chapelwaite dei fratelli Filardi è una serie di prim’ordine, come si intuisce dalla scelta dell’attore principale e dal talento dei comprimari. Brody è particolarmente adatto, tra l’altro, a rendere il protagonista malinconico e dark, ma allo stesso tempo a catturare immediatamente l’empatia dello spettatore che è portato a tifare per lui e a seguirlo nel terrore. Un nuovo personaggio, rispetto al racconto originale, dà la voce al punto di vista dello scrittore: la tutrice Rebecca Morgan interpretata da Emily Hampshire. Questa giovane donna è un personaggio femminile di rottura col contesto sociale e storico in cui si muove, un’aspirante romanziera che mal sopporta i limiti imposti al suo genere. Curiosa, vivace e con un certo gusto per il macabro, Morgan è colei che incarna lo spirito stesso della narrazione, uno spirito da pioniere che esplora mondi che gli altri non osano attraversare. Oltretutto, è tra i pochi personaggi a interagire con la famiglia e a non nutrire su di loro sospetti.
I personaggi dunque sono piacevolmente caratterizzati e colmano il gap dato dal passaggio da un racconto in forma epistolare a una narrazione lineare e completa propria del media filmico. La sceneggiatura è di fondamentale supporto a questa operazione e nel caso di Chapelwaite si destreggia bene su silenzi suggestivi e dialoghi vivaci, in cui ogni parte è coerente e molto ben delineata. Una fotografia sui toni grigi, che dosa caldi e freddi con sapienza rende il prodotto più che adeguato al livello medio-alto che il mercato ormai impone. Non solo, anche nel montaggio e nella scelta precisa e mai pretestuosa dei jumpscare, la suspance cresce progressivamente non lasciando allo spettatore né il tempo né la voglia di distrarsi.
Chapelwaite: perché vederlo
La qualità dei prodotti horror a disposizione del pubblico sta crescendo esponenzialmente negli anni. O, meglio, un genere che ha sempre avuto grandi picchi di creatività e profondità, sta uscendo da una nicchia e sta diventando sempre più variegato e di dominio pubblico. Le visioni dei singoli autori e le loro interpretazioni del cinema dell’orrore si stanno differenziando e sempre di più vengono proposti agli spettatori degli sguardi personali, dei peculiari modi di riscrivere il genere (vediamo, su tutti, il lavoro che sta facendo Mike Flanagan, tra Hill House e Midnight Mass). Chapelwaite, in questo contesto è un prodotto molto più classico, ma con una struttura così solida da non far rimpiangere la sovrinterpretazione degli autori più originali.