Biografilm 2016 – Il fiume ha sempre ragione: recensione
Il fiume ha sempre ragione è uno straordinario documentario di Silvio Soldini, presentato in anteprima al Biografilm 2016. Soldini ci porta tra le vette e le vite di due esseri singolari: Alberto Casiraghy e Josef Weiss. Casiraghy vive ad Ornago: egli è un dolce brianzolo pervaso da un sentimentalismo naturalistico, editore, paroliere, artigiano. Mentre Weiss vive nel Canton Ticino, grafico, restauratore declinato da due forze uguali e contrarie, quali lo sviluppo di nuove tecnologie e la rinascita di un’antica sensibilità.
Ma facciamo un passo indietro. Il motivo che ha spinto Soldini a voler fotografare con minuziosa timidezza queste persone è tutto nella particolarità del loro operato. Un operato che ha dentro sè la novità e l’allegoria del passato, la rivoluzione e la ripetizione di una promessa eterna. Ebbene la loro quotidiana insurrezione sta nel praticare un’antica arte, la tipografia, la rilegatura, la stampa. Ma è infinitamente eufemistico argomentare le loro capacità asserendo unicamente tali lavori categorizzanti. Partiamo dall’idea che sono due artigiani e, come tali, capaci di trasformare un legno, della carta, un colore in un oggetto singolare. Il fiume ha sempre ragione procede in un crescendo, posizionandosi a favore del soggetto e dell’oggetto, della mano e del lavoro: si parte dalla calligrafia, viene mostrato come ogni parola venga segnata, composta e articolata tramite un antico attrezzo per stampare. La macchina per stampare che utlizza Casiraghy è come una rotativa, una figlia diretta delle creazioni di Gutenberg, che utilizza i caratteri mobili fusi in piombo del celebre Helvetica, carattere tipografico creato nel 1957. Alberto produce libri singolari per chiunque voglia autopubblicarsi o creare una personalissima raccolta di aforismi, pensieri, poesie a tiratura limitata. Egli ne pubblica circa trenta copie, tranne in rare eccezioni come nel caso di Alda Merini, che era amica di Alberto e che le pubblicò svariate raccolte di poesie. La sua bottega è straripante di orpelli, ricordi, fotografie; è il suo universo, sincero e disordinato nel quale ha trovato una dimensione per vivere. Le persone che decidono di pubblicare i loro pensieri vengono in qualche modo scelte e celebrate da Alberto che assieme all’aiuto di amici e appassionati d’arte impreziosiscono il libro, talvolta composto da poche pagine, con un disegno intellettivo o concettuale che va porsi in netto contrasto con i versi idilliaci presenti nel testo. Josef Weiss d’altro canto è un abile grafico, che vive in modo più sofferto le contraddizioni del progresso, tant’è che si misura con ammirabile dedizione al restauro di manuali antichi e alla fabbricazione di oggetti grafici cartacei che scambia e dona ad Alberto come se fossero germogli di un passato da rievocare, allontanandosi da un primitivismo artistico di cui si arriva a percepirne la solitudine.
Il fiume ha sempre ragione: Casiraghy e Weiss sono due esseri complementari e necessari che praticano con forza atavica la loro passione
Il fiume ha sempre ragione ci ricorda che la qualità del prodotto è centrale, poichè la sua unicità è figlia della loro premura, dell’impegno e della generosità di chi cura i dettagli del testo, l’impaginazione, i caratteri, il colore, i disegni che vengono affiancati alle parole. Proprio come per Apollinaire con i suoi Caligrammes, ovvero le poesie visive, le loro creazioni sono fruibili su vari livelli: visivo, dacché le poesie e i versi sono dapprima un tonico per la vista, tattile derivante dallo spessore dell’inchiostro, dal calore della macchina e della carta, uditivo giacché la lettura dei versi avviene sempre in modo maestoso, per poi finire nell’olfattivo: ogni oggetto possiede un odore indistinguibile, che parrebbe incrementare la fruizione davvero ad ogni livello. Josef Weiss inoltre, sul finire delle scene, dona all’amico Casiraghy un libretto molto particolare: un esempio di un suo Dîvân, che è parte di una collana di libri nata come una cartolina che ha la struttura del leporello, composta da un foglio piegato a fisarmonica su cui disegnare, scrivere e lasciarsi esprimere a piacimento. Soldini vaga attraverso le loro vite, le loro abitudini come uno spirito evanescente. La sensazione imperante è quella di visionare un film nella sua interezza, denso di poeticità, di ironia, mai scarna o forzata. Alberto Casiraghy e Josef Weiss sono due esseri complementari e necessari, che praticano con forza atavica la loro passione che va ben oltre la fatica o il guadagno e Soldini coglie ogni aspetto di queste loro scelte, cadenzando le immagini in un testamento laborioso, trascinante e dal carattere circoscritto e dinamico. Gli scogli con i quali si scontrano ogni giorno sono l’impossibilità di poter perpetuare il proprio operato, considerato il triste disinteresse dei giovani nei confronti del loro lavoro, e ovviamente il progresso: perché stampare o creare libri attraverso antichi marchingegni, quando a farsi strada ci sono stampanti sempre più notevoli che dimezzano i tempi di produzione in modo così drastico?
La risposta è tutta qui. Niente potrà sostituire l’intuizione, niente potrà sostituire l’uomo. L’arte non è fabbricabile nelle catene di montaggio o nei meccanismi cibernetici, è un prodotto dell’uomo e tale legame non potrà mai essere infranto. I due protagonisti de Il fiume ha sempre ragione si ritrovano ognuno nella bottega dell’altro e discutono di ogni argomento, dal siffatto progresso che da un lato adombra e dal un lato nobilita, dalla filosofia alla poesia che per Alberto non è arginata solo dalle parole, ma presente in ogni potenza e in ogni atto, distinta dalla passione per ciò che si fa. L’artista è un uomo in potenza come l’uomo è un’artista in atto, un divenire dal punto di vista ontologico che pervade la pellicola negli attimi in cui i due disquisiscono delle loro mancanze, delle loro debolezze, ma anche di quanto siano fortunati, tessendo un inno alla gioia del proprio essere. Alberto e Josef accolgono il silenzio, la sua natura primordiale, come se fosse il più grande confidente, ed essi, allo stesso modo, vengono accolti dai colori. Durante Il fiume ha sempre ragione si ha la sensazione di sentirsi sottoporsi ad un divisionismo, come se colori e luce si fossero rifratti, una totale esposizione alle loro percezioni, poi riproposte allo spettatore come due entità avvalorate da una propria anarchia. Il loro lavoro è un gioco di composizione delle parole da far fluire nelle tempere, alla ricerca del giusto compromesso di luci ed ombre fra le lettere stampate. Le loro botteghe sono un patrimonio dell’umanità, dove poter parlare, dialogare, apprendere, sorprendersi ed amare antiche arti andate perdute, arricchite dal fascino delle loro mani che si muovono con eleganza, delicatezza e pazienza. Le loro esistenze sono consonanti di una parola assoggettate da vocali.