Days (Rìzi): recensione del film di Tsai Ming-liang
Kang soffre di cervicale e ricorre spesso a sedute di agopuntura. Il laotiano Non, invece, fa il massaggiatore. In un pomeriggio qualsiasi di un giorno qualsiasi si incontrano, e nasce subito un'intesa.
C’è un uomo, seduto in poltrona nel soggiorno di casa sua, che guarda la pioggia fuori dalla finestra. Lo sguardo è perso, malinconico, forse deluso. È Kang-sheng, il protagonista-feticcio di quasi tutti i film del regista taiwanese Tsai Ming-liang. Un’informazione che può servire, ma forse anche no: in fondo è una persona qualsiasi, vicina alla mezza età, che vive in totale silenzio e in una irrisolvibile solitudine. Di lì a poco scopriremo il suo malessere fisico, elemento tanto inaspettato per i neofiti quanto pienamente conosciuto da chi Tsai lo segue da tempo.
Days – in concorso alla Berlinale 2020, vincitore del Teddy Award come opera a soggetto LGBT e nelle sale italiane dal 14 ottobre grazie a Double Line e Lo Scrittoio – è il nuovo tassello di una vicenda artistica e umana che sembrava aver avuto una definitiva battuta d’arresto nel 2013, quando (dopo il Premio Speciale della Giuria a Venezia 70) Tsai aveva apertamente annunciato il proprio ritiro. Da allora l’autore non lavora più a sceneggiature, ma in verità non ha mai smesso di girare film. Cortometraggi, realtà virtuale, videoarte; un percorso minimalista e poetico, che l’ha reso uno dei nomi di punta della seconda new wave taiwanese.
Days: uno studio sulla solitudine e sull’incomunicabilità
Non è certo un caso che uno dei punti di riferimento di Tsai Ming-liang sia Michelangelo Antonioni, maestro dell’incomunicabilità. Days non ha dialoghi, perché a parlare sono i corpi e i silenzi; e non possiede alcun abbellimento retorico, l’esistenza viene mostrata per quello che è, nel suo lento e spesso disarmante fluire. Il quotidiano, visto da fuori, è ripetitivo e malinconico, e l’essere umano – desolatamente solo – è alla penosa ricerca di contatti che ne leniscano l’isolamento, anche solo per qualche fugace ora. Il cammino dei due attori al centro della scena (il sopraccitato Kang, l’esordiente laotiano Non) può risultare estenuante, almeno fino al loro incontro.
Perché Kang cerca una cura per alleviare il dolore al collo, sottoponendosi a una combinazione di agopuntura, artemisia e terapia di stimolazione elettrica. Mentre Non fa il massaggiatore a Bangkok. La loro storia si consuma in un pomeriggio qualsiasi di un giorno qualsiasi, in una anonima camera d’albergo. La routine si spezza e nasce un’intesa breve, tenera ed erotica, per entrambi terapeutica. Nella totale assenza di voce, la comunicazione qui avviene ad un altro livello, visivo e tattile, che dà il senso e la misura dell’intera operazione, e che si inserisce a pieno titolo nel marchio di minimalismo di Tsai.
Tsai Ming-liang e la sfida al comune senso del tempo
È interessante constatare come in Days manchi uno degli elementi portanti del cinema di Tsai: la vicenda infatti non è immersa in uno scenario apocalittico (invero molto simile se non identico alla nostra realtà), e manca anche totalmente l’elemento del paradosso. Come se il cineasta avesse voluto “liberare” ancora di più il suo mondo, alleggerendolo da qualsiasi retorica residua. Le lunghe inquadrature statiche – 46 piani, pochissimi tagli e cinepresa fissa – rispondono al bisogno di indagare stati d’animo, umori e lo stesso senso del tempo, con un invito a esplorare nella sua totalità i quadri, tableaux vivants in cui perdersi riconoscendo l’universalità del messaggio e della messinscena.
Come tutta la filmografia di Tsai Ming-liang (da Vive L’Amour a Il fiume, fino a Stray Dogs), Days è una sfida aperta, affascinante e vertiginosa. Un frammento di vita possibile al contempo raffinato e volgare, inserito nella luminosità plastica della fotografia di Chang Jhong-yuan. Il tempo è ciclico: alla fine della sua giornata ritroviamo Kang col medesimo sguardo dei primi fotogrammi, immerso nel vuoto e nell’impotenza esistenziale. Qualcosa però è cambiato, perché altrove, alla fermata di un bus, Non si ricorderà del carillon ricevuto in regalo dal suo partner, e lo farà suonare ancora una volta. Grato per un incontro che gli ha donato conforto e sollievo, ancora vivido e presente ma già fatalmente appartenente al passato.
Il film è nelle sale italiane dal 14 ottobre 2021, distribuito da Double Line in collaborazione con Lo Scrittoio.