Tim Burton a Roma FF16: “Dopo Dumbo ho avuto un esaurimento nervoso”
Il nostro incontro con Tim Burton a Roma FF16.
Nessuna presentazione, nessun acclamazione, niente proclami. Tim Burton si è presentato sul palco della 16ª Festa del Cinema di Roma con tutta la naturalezza del mondo, senza lasciarsi sfuggire neanche un attimo di incertezza e di emozione castrante. Sembra essere abituato ormai alle platee internazionali, ma no, quello che viene considerato uno dei maggiori cineasti contemporanei ci tiene ad affermare che una delle sue paure più grandi è proprio salire sulle scene e presentarsi davanti i grandi pubblici, lui che solitamente si trova dietro la macchina da presa a dirigere i suoi film.
Tim Burton è a Roma per ritirare il Premio alla Carriera in suo onore, un premio che si divide con Quentin Tarantino, anche lui salito sul palco qualche giorno fa. Due colossi del cinema contemporaneo, due visioni della narrazione e della cinematografia che però convergono in una prospettiva autoriale mirata, sensibilmente accurata per quanto riguarda lo stile e la grammatica filmica.
Con tutta la naturalezza e la compostezza che lo contraddistinguono si è lasciato cullare dall’apprezzamento del pubblico che, trepidante, gli ha posto delle domande mirate sulla sua carriera cinematografica e creativa.
Il nostro incontro con Tim Burton alla Festa del Cinema di Roma 2021
Più volte hai dichiarato di realizzare solo film che senti a livello personale. Parlaci della questione emotiva legata alla tua cinematografia.
“Sono due anni che non faccio film, ma ripensando ai miei lavori e progetti precedenti, anche quelli che non ho creato personalmente, ho sempre provato passione ed entusiasmo. Quindi si, possiamo dire che sia sempre stata una scelta emotiva“.
Sei stato uno dei primi a raccontare il diverso, a battersi per l’inclusività, cosa pensi del nuovo corso di Hollywood, oggi così variegata e multietnica?
“Mi sono sempre reputato diverso dagli altri, e così anche i miei personaggi di riflesso. Non ho mai cambiato la mia prospettiva, sono sempre stati questi i personaggi che mi hanno attirato: emarginati, estroversi. Ho sempre apprezzato chi era diverso da tutti gli altri, chi emergeva dalla normalità, sia per quanto riguarda la razza, il genere, il credo“.
La paura è centrale nei tuoi film, ma di cosa ha paura Tim Burton?
“In questo momento ho terrore sacro, mi fa paura trovarmi su un palcoscenico con tutto questo pubblico. Non mi abituerò mai a tutto questo. Ma vi ringrazio per la pazienza“.
Quali sono i sentimenti che provi dopo aver diretto ed essere stato autore di alcuni live action Disney, cosa ne pensi dei remake di Classici rivisitati in chiave moderna?
“Non sono più un grande fan di questi film, ed è proprio questo il motivo per cui ho smesso da due anni di lavorare, ho deciso di prendermi una pausa, perché mi sono trovato e sentito in un vicolo cieco. Ora la Disney è indirizzata esclusivamente verso produzioni originali, remake, Pixar o Marvel. Però mi piacerebbe dirigere un remake live action di The fox and the hound (Red e Toby – Nemiciamici)“.
Qual è la cosa più sbagliata che hanno detto su di te?
“Mi accusavano di essere dark, è questo l’errore principale che le persone fanno nei miei riguardi: mi è rimasta questa etichetta di personalità dark, come quando sei ragazzino e ti etichettano. Per questo motivo non mi piace etichettare le persone in base alle apparenze, perché l’ho provato sulla mia pelle e ho dovuto combattere duramente per eliminarla“.
Ritornerai a fare film in stop motion, uno delle tecniche peculiari della tua filmografia?
“Qualcosa in mente ce l’ho sempre, anche se al momento non ho nulla in cantiere di concreto. Questo perché per fare dei film in stop motion è necessario avere in primis un artista particolare, un maestro in questa tecnica. Io l’ho sempre avuto quando ho fatto film di questo genere e ho lavorato con uno staff apposito e competente“.
Parlando del momento dell’ispirazione, come avviene questo processo e da cosa scaturisce l’estro creativo?
“In genere si va in un bar, si prende da bere e poi si vede. A parte gli scherzi, per me è importante sognare ad occhi aperti ed è una cosa che ho sempre fatto, inoltre mi sono sempre sentito diverso, vedo le cose in modo differente, sono fatto così. Quindi è una cosa che mi viene naturale. Da sempre mi ricordo che passo moltissimo tempo a guardare il cielo dalla finestra, gli alberi, perché guardando le cose si riesce a scoprire sempre qualcosa di diverso“.
C’è un film che ti sei pentito di aver diretto e uno invece che ti sei pentito di aver diretto?
“Non ho rimpianti o risentimenti. Non mi piace questo concetto: si possono fare degli errori, ma c’è un motivo per tutto quello che ho realizzato. Quello che fai è parte di te, per ogni progetto ho bei ricordi e brutti ricordi. Forse alcune cose non vorrei ripeterle ora come ora, ma non ho nessun pentimento riguardo nessun lavoro che ho diretto. Solo per una cosa ho forse avuto qualche risentimento: dopo aver diretto il remake live action di Dumbo ho avuto un esaurimento nervoso, dopo aver lavorato con la Disney mi sono sentito un po’ come lui, in una gabbia di un circo. Sono rimasto traumatizzato, perché l’ho visto come un’autobiografia“.