Still Alice: recensione del film con Julianne Moore e Kristen Stewart
La toccante trasposizione cinematografica del romanzo di Lisa Genova vede il suo lato migliore nelle eccezionali interpretazioni di Julianne Moore e Kristen Stewart.
È stato presentato ieri , in anteprima europea al Festival Internazionale del Film di Roma, Still Alice, dramma co-diretto da Wash Westmoreland e Richard Glatzer sul tema della malattia e di come questa costringa inesorabilmente l’individuo a ristabilire le proprie priorità e trovare una nuova identità.
Alice Howland (Julianne Moore) è una brillante professoressa di Psicologia Cognitiva: la sua passione e specializzazione è il linguaggio e tutto ciò che concerne gli affascinanti meccanismi sottesi alla comunicazione. Mamma presente e moglie appassionata, ha condotto la prima metà della sua vita all’insegna dell’indipendenza e del successo, ottimizzando le proprie risorse per il bene di se stessa e della propria famiglia.
Per Alice, tutto ciò che conta è nella mente ed avendo dedicato la propria esistenza allo studio, non conosce altro modo di identificare se stessa se non attraverso il proprio ruolo di scienziata e docente.
Le cose cambieranno radicalmente quando la donna, a seguito di numerosi episodi di amnesia, riceverà la più nefasta delle diagnosi: morbo di Alzheimer precoce. Come se non bastasse, la malattia si scopre essere ereditaria e la donna si troverà improvvisamente a vivere il terrore ed il pericolo di perdere se stessa ed i propri figli.
Still Alice, tratto dall’omonimo romanzo di Lisa Genova, si concentra sulle percezioni della donna tralasciando, inizialmente, le reazioni di chi le vive accanto: il dramma è tutto nella testa della protagonista ed il punto di vista soggettivo ci porta a vivere insieme ad Alice smarrimento e terrore, in un vortice che conduce lo spettatore dentro l’alternanza di buio e luce caratteristica delle prime fasi della malattia.
Non lasciando alcun margine per il pietismo, osserviamo il deteriorarsi progressivo di questa esistenza sotto gli occhi dei familiari che, nel più realistico dei modi, appaiono divisi nel modo di reagire ed affrontare il problema; da un lato abbiamo il marito (Alec Baldwin) che, sotto l’alibi e la protezione di una carriera impegnativa, tenta il più possibile di esorcizzare il demone evitando di fermarsi ad osservarlo, dall’altro ci sono i tre figli, fra i quali emerge la personalità distinta e caparbia di Lydia (Kristen Stewart), la figlia minore e ribelle che, sfuggita alle pressioni della madre ad iscriversi al college come gli altri fratelli, insegue il sogno di diventare attrice.
Proprio l’evoluzione di questo rapporto madre-figlia ci fornisce la chiave di lettura più bella e profonda del film: Alice e Lydia, inizialmente antagoniste, riscoprono il piacere di conoscersi e capirsi attraverso il percorso della madre che, non potendo più contare sulla memoria e sul linguaggio, sarà costretta ad affidarsi alla guida delle emozioni; Lydia è un’ attrice e ha molto da offrire per colmare le lacune di Alice: i copioni teatrali, brevi e descrittivi, aiutano la donna a mantenere più a lungo il piacere della lettura e l’empatia della ragazza, abituata a dare più importanza al sottotesto che alle parole, insegnerà alla madre la supremazia del cuore sulla memoria.
Still Alice: una pellicola che gode del contributo di grandi attori
La regia si appoggia con fiducia sulle capacità espressive della Moore che, senza sovrabbondare mai, ci restituisce una figura femminile magistrale, capace di fondere senza la minima sgualcitura dignità e devastazione. L’Oscar è quasi un atto dovuto.
Opinabili alcune scelte registiche tese a rendere i momenti di smarrimento della donna: il forse eccessivo uso del fuori fuoco tende, talvolta, a confondere lo spettatore riguardo a quelli che sono i reali sintomi della malattia, che potevano essere resi con facilità appoggiandosi, ancora una volta, alle grandi capacità recitative della protagonista.
Rispetto al libro, sarebbe stato bello che il film trovasse lo spazio per far esprimere maggiormente i familiari che invece restano a volte un po’ troppo in ombra, non dando modo allo spettatore di comprendere più profondamente i perché e i per come delle loro azioni. Nonostante ciò è impossibile non notare il peso del ruolo della Stewart, che dimostra finalmente non solo di essere completamente uscita dalla “Twilight zone” ma – togliendo in questo caso addirittura un briciolo di luce a Julianne Moore – di essere in grado di auto-attribuirsi il ruolo di co-protagonista.
Il film è nel complesso notevole perché con delicatezza e prudenza riesce, all’interno di un epilogo inevitabilmente tragico, a lasciar intravedere la speranza, non necessariamente nella guarigione ma nella salvezza che, indipendentemente dalla durata della vita, risiede sempre e potente nell’amore, una forza che nemmeno la più devastante delle malattie può intaccare. L’amore capace di forgiare la vera, immodificabile essenza ed identità dell’individuo.
L’Alzheimer può costringere Alice a non essere più professoressa, scienziata o ricercatrice ma non può farle smettere di essere…Alice.
Still Alice uscirà nelle sale americane il prossimo gennaio e non abbiamo ancora notizie sulla data italiana. Nel cast anche Kate Bosworth ed Hunter Parrish, nel ruolo degli altri figli della protagonista.