Solo mia: il film di Michael Civille è ispirato a una storia vera?
Il lungometraggio, approdato al cinema nel 2019, è ora disponibile su Netflix.
Cosa c’è di autentico nelle vicende raccontate in Solo mia? Scendiamo nel dettaglio sulla trama
Il film drammatico Solo mia (titolo originale Only Mine), uscito nel 2019, racconta le vicende di una giovane, Julie, e della sua relazione con un poliziotto, David. La storia prende presto una piega pericolosa, nel momento in cui quest’ultimo diventa una persona possessiva e aggressiva e comincia a perseguitare Julie dopo che lei prova a troncare il rapporto. La pellicola, diretta da Michael Civille, ha qualche fondamento di realtà? La narrazione trae spunto da eventi di cronaca? Proviamo a vederci chiaro.
Secondo quanto asserisce Netflix, il lungometraggio Solo mia è basato sulla storia vera di una ragazza 19enne di nome Laura Kucera, sfuggita dal suo ragazzo, Brian Anderson, in ciò che inizialmente credeva fosse amore. Il susseguirsi degli eventi condusse fino al momento in cui il fidanzato, Brian Anderson, la colpì alla gamba e la lasciò morire in un fosso. Laura, però, sopravvisse per quattro giorni, finché le Forze dell’Ordine non la trovarono. Gli avvenimenti accaddero parecchi anni fa, nel 1995.
Secondo il Chicago Tribune, Brian Anderson si dichiarò colpevole nel caso e venne condannato alla reclusione in carcere a 55 anni. Purtroppo, come Digital Spy riporta, Laura venne a mancare nel 1995, vittima di un’incidente d’auto, solo 20enne.
Il contesto è importante metterlo in chiaro, poiché le parti di Solo mia apparentemente esagerate sono quelle che prendono spunto dalla realtà. Insomma, alcune delle scene più sconvolgenti non sono semplice frutto della semplice finzione.
Tuttavia, qualcosa non è davvero successo, perciò, se desideri gustarti la pellicola senza spoiler, ti invitiamo caldamente a chiudere immediatamente l’articolo. Perché parleremo del colpo di scena più forte.
Con sede nella piccola città di Coldwater Hills, Solo mia segue le disavventure di Julie Dillon (Amber Midthunder), una studentessa benvoluta e destinata al college che lavora da cameriera presso la tavola calda locale. Julie inizia a frequentare David Barragan (Brett Zimmerman), un poliziotto appena assunto alla stazione locale. È giovane, affascinante e – si scoprirà – uno squilibrato.
L’abuso si accumula in modo relativamente lento (il film ha una durata totale di un’ora e 27 minuti, quindi si muove a un ritmo sostenuto). David è possessivo nei confronti della ragazza e inutilmente sospettoso del suo collega maschio.
Il primo incidente degno di nota si verifica quando David cerca di chiamare Julie, giusto per non rispondere al telefono. Desidera sempre trovarla, le confessa. Già nel titolo dell’opera, del resto, si capisce l’intenzione: che Julia sia sua, e non la condivida con nessun altro. Non è la definizione più sofisticata di coercizione e controllo, ciononostante rende bene l’idea.
Il film riesce anche a creare un’atmosfera sempre più claustrofobica sulla difficile situazione di Julie: il padre di David era, a sua volta, un agente della polizia locale e amico del capo del dipartimento. Il lavoro di David, ovviamente, rende più difficile per Julie denunciare l’abuso e quasi impossibile invocare aiuto.
Le dinamiche di una piccola comunità comportano che è ulteriormente isolata: David è bravo ad ammaliare la gente del posto, più incline a concedergli fiducia, anziché alla partner.
Lo sviluppo di cui ti avevamo parlato, frutto unicamente della fantasia degli sceneggiatori, è la vendetta di Julie, la quale, tornata in forza, uccide l’ex fidanzato violento. Il lungometraggio è accompagnato da una serie di “interviste”, come quelle al capo di David e agli amici di Julie.