Sarah. La ragazza di Avetrana: recensione della docu-serie Sky Original
La medaglia a due facce dei media, fra il dissacrante e l'azione sociale, si mostra con vistosità in quello che potrebbe, forse, essere un nuovo esempio di cinema d'inchiesta.
Se al tramonto dell’agosto 2010 l’Italia venne scossa dai tremori di uno dei casi di scomparsa più risonanti di sempre, in questo novembre di undici anni dopo pare essere esploso un nuovo ordigno. Dal libro Sarah. La ragazza di Avetrana, romanzo di narrativa d’inchiesta firmato da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni (Fandango Libri, 2020), alla docu-serie di Sky Original (in onda dal 23 novembre e disponibile in streaming su NOW) la falcata è stata precisa, diretta, immediata.
Scritto, fra gli altri, dagli stessi autori del libro di partenza e diretto da Christian Letruria, Sarah. La ragazza di Avetrana si battezza da sola come la nuova The Thin Blue Line (Errol Morris, Stati Uniti, 1988) e si lancia nel circuito mediatico come la luce del nuovo inizio. Sì, perché la mini serie documentaria si propone come altrettanta narrativa d’inchiesta: è possibile, dopo così tanti anni dallo stallo del mistero di Avetrana, puntare nuova luce su quel caso che tanto fece discutere nella sua baraonda iniziale – da supernova – e che venne in seguito riposto in un cassetto dall’accesso esclusivo?
Il delitto di Avetrana tra la rilettura del caso e l’interrogativo morale sui media
Il delitto di Avetrana rappresenta, nella storia contemporanea d’Italia, un caso sicuramente duro, digeribile con estrema difficoltà. Avvolto nel mistero, un segreto è celato al suo interno da quelle poche persone che da subito abbiamo visto comparire nella vicenda, quasi come su un grande e luminoso schermo quotidiano. Dalla scomparsa di Sarah Scazzi, giovane adolescente avetranese con un mondo comune a tanti altri, il piccolo paese del tarantino si fa circo degli orrori, fra lo sgomento della popolazione e un teatro sociale portato avanti, con apparente confusione, dalle altre vittime dell’accaduto: i familiari della ragazza.
Ad oggi, il caso appare sempre frammentato e scomposto, come puntellato e crepato da dettagli discordanti e testimonianze stropicciate, rimaneggiate. La confessione di Misseri, zio di Sarah, seguita a una bizzarra corsa alla scoperta del cadavere della ragazza giustificata da un sogno; la seguente rimodulazione delle indagini, dirette poi su Sabrina Misseri, cugina più grande di Sarah, e sua madre, Cosima Serrano, sorella della madre di Sarah, Concetta. Molti nomi e pochi cognomi vengono trascritti sui verbali, a ricordare la familiarità e la strettezza capsulare dell’accaduto. Ma perché quest’opera, che deriva da un’opera letteraria di pseudo-inchiesta?
L’intenzione pare quella, appunto, di spingere verso una rilettura del caso, a partire però da un macro quesito che interroga il mondo mediatico: parafrasando e riducendo una considerazione ampia, perché fare di una tragedia un circo? Opinionismo da palcoscenico presso talk mattutini, pomeridiani e serali, impatto sui social-network – al loro sorgere -, un fiume di telecamere e microfoni, in una grande parata spettacolare al servizio di qualunque divano o poltrona di Italia. E se questo circo, tuttavia, possa essere considerato come, quantomeno, il mezzo più utile per portare avanti le indagini e spargere generosamente informazioni al fine di ritrovare il corpo della ragazza scomparsa e, magari, risolvere il caso? Due punti di domanda che si trovano in punti diametralmente opposti (l’uno del rispetto della sfera privata, l’altro dello spettacolo pubblico) ma che si prospettavano come in un intreccio proficuo: quello di un’opera documentaria che se in una delle sue parti vuole criticare e interrogarsi sulla validità morale dei nuovi media, nell’altra vuole tentare l’atto pratico, materiale, di intervenire nella vita reale tramite la stessa opera mediatica: le immagini cinematografiche.
Sarah. La ragazza di Avetrana: cosa racconta la serie Sky?
Tuttavia, quel che i quattro episodi di Sarah. La ragazza di Avetrana mostrano è effettivamente un riassunto, in eleganti inquadrature aeree e primi piani espressivi, degli ultimi undici anni dall’interno del caso giudiziario. Vediamo come ospiti i giornalisti che vi hanno lavorato, gli avvocati, le forze dell’ordine, i familiari e altre figure che sono state chiave di questo tumulto mediatico. Quel che vediamo a partire da tutto questo, però, risulta più come una narrazione sommaria e romanzata, non tanto nei contenuti – ai quali si è davvero fedeli – quanto nella forma, nel linguaggio: pare che si sia sentito il bisogno di decorare la vicenda e i suoi sviluppi con una fotografia limpida e strabiliante, musiche accurate e d’atmosfera di tensione, ricostruzioni quasi degne di un film di fiction e interviste montate quasi aritmeticamente, scandite da immagini di repertorio dal doppio taglio, emozionante per la sua componente di passato felice e insieme indagatorio, come un testo in cui trovare l’incognita, svelare il segreto.
Tecniche narrative che sicuramente funzionano egregiamente, sia rispetto alla fruizione che alla vendibilità del prodotto ma che, in uno sguardo più ampio, paiono andare contro quell’inquinamento mediatico su cui il film stesso interroga lo spettatore. È quindi di fronte a un esercizio di stile che ci si ritrova? Si vogliono, con questa mini serie, riutilizzare le tecniche dello show mediatico per approdare al risultato della battaglia giudiziaria o la si vuole utilizzare come riflessione sul cinema stesso? In entrambe le ipotesi la struttura dell’opera rischia di tradire se stessa, aggrovigliandosi in una matassa che, se non porterà a un effettivo risultato fuori dal cinema (al contrario di The Thin Blue Line di Errol Morris, che ha guidato gli Stati Uniti non solo verso la riapertura di un importante caso ma che ha salvato dalla pena di morte uno dei due indiziati al centro della vicenda), potrebbe risultare come una pornografia della tragedia, protagonista del consumismo mediatico che ha come clienti poltrone comode di fronte a televisori magnetici.
Sarah. La ragazza di Avetrana, una promessa all’Italia o un prodotto di spettacolo?
Sarah. La ragazza di Avetrana si pone quasi come una promessa, un tentativo almeno, senza definire la propria posizione sul caso cardine, e per questo ha diritto a una attenta visione, se non altro per l’accuratezza con cui viene riassunta una vicenda dalle dimensioni emotive e storicamente popolari incalcolabili, così da prestarsi almeno come strumento iniziale di informazione sulla vicenda. Tuttavia, a partire dalla definizione di cinematografia documentaria come di un’opera di informazione, i dubbi sulla mini serie Sky rimangono in attesa di essere districati una volta verificatisi gli effetti a cui si è puntato. Questo perché, come nel caso di The Thin Blue Line o di tutti i prodotti audiovisivi sulla linea dell’opera d’inchiesta (vedasi il film documentario Netflix Amanda Knox, 2016), la connessione fra i due mondi – uno fuori, l’altro dentro lo schermo – è più solida che nelle opere di finzione.
Si rimane allora, dopo la visione, in attesa di qualcosa: il pensiero corre e si muove, ci si aspetta un riscontro da queste immagini e, nella speranza che non si rivelino vane, bisogna guardare a questa opera con le dovute accortezze, distinguendo la sottile linea fra l’immagine della realtà e la realtà stessa, spesso confuse e inconcludenti.
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