Virtualmente reale: recensione del film Netflix di Maria Torres
Anonimi in chat e conoscenti costretti alla convivenza nella realtà, il paradosso romantico che subiscono i protagonisti di Virtualmente reale rielabora con un gusto peculiare e uno stile a metà fra il tech e il nostalgico un teen movie ottimista e sorprendente. Dal Messico, Su Netflix dal 10 dicembre.
Il paradosso romantico che tiene in piedi Virtualmente reale, deliziosa rom-com adolescenziale di provenienza messicana, è quello di un innamoramento in cortocircuito fra la quotidiana realtà e l’inganno del virtuale. Disponibile su Netflix a partire dal 10 dicembre, il secondo lungometraggio alla regia di Maria Torres rielabora, senza alterarli, alcuni tropes narrativi delle love story all’interno del contenitore più ampio del coming-of-age, conciliando le strade dei due protagonisti sul doppio percorso dell’oggettività concreta e quello, anonimo, della conoscenza via chat.
Virtualmente reale e viceversa: Vale e Alex (sono) Anonima e Anonimo
In Vale (Annie Cabello), teenager dall’umore scostante, inadatta a socializzare ma legata in amicizia unicamente alla più esuberante Regina (Estefi Mereilles), sembra convivere la stessa cinefilia entusiasta di Katie, l’eroina outsider del film animato I Mitchell contro le macchine, per quella urgenza di filtrare la vita da una telecamera e rivelare, al posto della parola, il proprio personale sentire. Solitaria e frastornata, figlia di due amorevoli genitori che la vogliono naturale ereditiera della loro ditta di ascensori, la liceale non sa che il ragazzo con il quale chatta regolarmente, ritrovando nell’altro un’inedita sintonia caratteriale, è in realtà Alex (Ralf), il nuovo ragazzo dell’ultimo anno con cui trascorre pomeriggi interi dopo scuola per scontare una punizione di condotta.
In chat Anonimo e Anonima decidono di rimanere tali: il patto è di non rivelare la propria identità, indirizzo, informazioni personali. Nella realtà, invece, Alex e Vale mal di sopportano: la convivenza forzata mostra loro le divergenze più lampanti, e nel frattempo, uno accanto all’altra, si scrivono inconsapevoli di aver vicino esattamente la persona con cui un attimo prima hanno confidato, scrivendolo, un malessere passeggero. Che sia il mondo reale ad elargire le emozioni più autentiche i due lo capiranno frequentandosi oltre la luce blu del proprio cellulare.
Analogico e digitale convivono con sorprendente armonia nella regia personale di Maria Torres
Con uno stile personalissimo capace di concretizzare la sintonia fra il digitale dello scritto in sovrimpressione e un’atmosfera pop nostalgica ripescata dall’analogico degli anni novanta, Virtualmente reale rispolvera dinamiche conclamate della teen-comedy e del disagio interiore dell’eroina (apparentemente) perdente ma testarda e sognatrice, con un gioco sull’inganno del destino ‒ anzi inconsapevolezza ‒ di un’identità raddoppiata, mostrandone i tratti maggiormente delicati sulla difficoltà a rivelarsi reali, e la via invece più confortevole del non svelarsi.
Forse simile ad altri, ma gustosamente meta cinematografico e di certo fedele a sé stesso fino in fondo, il film di Maria Torres non si approccia allo spettatore con aria saccente e (pre)giudicante: il virtuale è pur sempre un’innegabile via di espressione, rete di apertura e conoscenza, futuro e incontro; ma è piuttosto il contatto vis-à-vis, l’apertura graduale all’altro, la messa in discussione dei preconcetti a regalare autenticità e crescita. Virtualmente reale allora conquista per la sua rielaborazione armoniosa dei due mondi, della nostalgia della fine e dell’entusiasmo degli inizi, del cortocircuito sulla conoscenza che equivale all’essere sconosciuti e poi riconosciuti per la prima volta, riversato in una storia di amore e amicizia ma soprattutto individuale, in un anno imprescindibile, quello finale del liceo, che spalanca le porte al futuro e alle possibilità.